Francesco Monchiero non ha l’aria di essere uno che lascia le cose a metà, nemmeno a causa di una pandemia. Anche per questa ragione il titolare della cantina Monchiero
Carbone di Canale ha accettato di buon grado di ricoprire per la terza volta consecutiva il ruolo di presidente del Consorzio Tutela Roero.
«Mi è stato richiesto da quasi tutti gli associati di rimanere ancora per un triennio», spiega il presidente Monchiero. «La prassi del limite dei due mandati è abbastanza assodata, anche se non scritta e io non avevo intenzione di ripresentarmi, ma mi ha fatto piacere la fiducia che mi hanno accordato i soci».
Era l’unico candidato presidente ed è anche l’unico presidente da quando è nato il Consorzio…
«Sono convinto che le alternanze, a tutti i livelli, portino vantaggi. Il nostro Consorzio, però, in questa fase presenta delle particolarità. È nato 6 anni fa, dal nulla e abbiamo dovuto pensare alla struttura, alla promozione, agli eventi, alla vigilanza, alla modifica del disciplinare. Il percorso di costruzione è quasi terminato, ma manca ancora qualche tassello, anche a causa dell’emergenza sanitaria. Uno dei motivi per cui ho accettato di proseguire è proprio poter terminare questa fase, in modo da dotare il Consorzio di una figura che possa fare da “trait d’union” tra produttori e Consiglio di Amministrazione, affinché il prossimo Presidente sia affiancato da un direttore con le competenze necessarie».
Oltre ai “Roero days”, cosa siete stati costretti a rimandare a causa del Covid?
«Era prevista la presentazione delle cartine ufficiali dei “Wine tour”, percorsi tra i cru del Roero. Abbiamo voluto dare ai turisti che vengono da noi uno strumento per poter passeggiare tra le nostre colline assistiti anche da un supporto elettronico, in grado di indicare loro in quale cru si trovino in quel momento, ma anche, nel caso, informazioni sul pilone votivo o sulla chiesa incrociati lungo il percorso».
Si dice che il Covid possa avere dei risvolti positivi. Per il vino, non mi pare di vederne…
«Forse l’unico aspetto positivo è la risposta, migliore delle attese, fornita dagli amanti della buona tavola. Hanno dimostrato di aver voglia di andare nei ristoranti, assaggiare buone bottiglie. I consumi caleranno, perché se dove c’erano 100 posti a sedere ora ne rimangono 70, è inevitabile che sia così. Bisognerà capire quanto tempo impiegherà il turismo dell’Albese per tornare ai livelli precedenti. Per quanto concerne il vino, la forza del Roero e dell’Albese in generale, è che non abbiamo un solo mercato di riferimento ed esportiamo in tutto il mondo. Il Roero, in più, ha questa caratteristica di poter contare su una Docg sia di bianco che di rosso, il che ci rende più versatili. Il Roero è un vino trasversale, che si trova dappertutto: sulle carte dei vini, sui siti Internet e anche qualcosa nella grande distribuzione di qualità. Anche la crisi economica del 2011 ha colpito forte, ma noi produttori di vino eravamo abituati ad appoggiarci all’estero. Questa volta, invece, ha colpito tutto il mondo, quindi è molto importante avere più mercati di riferimento e canali di distribuzione diversificati».
Cosa significa fare “tutela del Roero” in un momento così particolare?
«Io dico sempre che la prima categoria da tutelare è quella dei produttori di uve. Se non tuteliamo loro, un domani ci troveremo a non avere più piante. La più grande soddisfazione che mi sono tolto in questi anni è stata prendere in mano il Consorzio nel momento in cui il Roero doveva affrontare il problema dell’eccesso di impianti viticoli. Una denominazione che in 20 anni era arrivata a una produzione di 4 milioni di bottiglie, in due anni aveva aumentato la superficie vitata arrivando a un milione di bottiglie in più. Si era quindi creato un eccesso di prodotto a cui siamo riusciti a porre rimedio grazie a una buona gestione degli impianti con una piccola riduzione delle rese per un anno. La mia piccola soddisfazione è che il prezzo delle uve di Roero Arneis è stato costantemente sopra l’euro al chilo. Questo, per me, significa tutelare un territorio».