E se il secondo figlio non fosse come il primo?

0
222

Gentile Davide, po­trei consigliarle la visione dell’ultima opera cinematografica (purtroppo postuma) di Mattia Torre. Si intitola “Figli” e racconta proprio di co­me l’arrivo di un secondo figlio sconvolga gli equilibri della famiglia.
Rischierei forse di spaventarla, mentre quello che si può dire anche senza bisogno del film è che un secondo figlio non determina una falla nel sistema; piuttosto la rivela, quando è presente.
Le magagne che con il trambusto generato dalla presenza di un figlio si possono tenere sotto controllo (o nascondere sotto il tappeto), con un secondo “generatore di caos” per casa so­­no impossibili da dissimulare. Quin­di se il suo timore è che un secondo figlio possa scombussolare i piani, non si sbaglia di molto. In realtà. però, un secondo figlio non ti fa perdere l’equilibrio, ma ti costringe a spostarlo continuamente perché induce a stare in perenne movimento. C’è da correre, insomma. Ma si sopravvive.
Il passaggio della sua lettera che mi lascia più perplesso è l’au­­spicio che il secondo figlio sia come il primo. O me­glio: il timore che possa essere diverso. Questo, a mio avviso, è un aspetto decisivo: non ci so­no figli uguali ad altri e per que­sto non è possibile comportarsi allo stesso modo pretendendo di ottenere gli stessi risultati. Per questo, un consiglio mi sento di darglielo: se non si vogliono fare differenze tra i figli, non bisogna pensare che basti trattarli allo stesso mo­do. Mi spiego: l’equità, e non l’uguaglianza deve guidare un giusto atteggiamento. E­qui­tà si­gnifica dare a ognuno quel che gli occorre per espri­me­­re al meglio le proprie qualità. Non si può pretendere di insegnare la stessa cosa alo stesso modo a due persone diverse, pensando di ottenere lo stesso effetto; non si può pretendere lo stesso risultato da due persone che partono con le stesse condizioni oggettive, perché le componenti soggettive modificano tutto.
Questa è una lezione preziosa che andrebbe applicata a qualsiasi relazione umana: con il proprio partner, per esempio, (che non è la replica in carne e ossa di quello che noi vorremmo che fos­se), ma anche nel mondo del lavoro, in cui sovente si chiede a un collaboratore qualcosa che non è nelle sue corde, ri­nunciando a far fruttare e (sfruttare) altre qualità che ri­schiano di rimanere inespresse.