Gentile Davide, potrei consigliarle la visione dell’ultima opera cinematografica (purtroppo postuma) di Mattia Torre. Si intitola “Figli” e racconta proprio di come l’arrivo di un secondo figlio sconvolga gli equilibri della famiglia.
Rischierei forse di spaventarla, mentre quello che si può dire anche senza bisogno del film è che un secondo figlio non determina una falla nel sistema; piuttosto la rivela, quando è presente.
Le magagne che con il trambusto generato dalla presenza di un figlio si possono tenere sotto controllo (o nascondere sotto il tappeto), con un secondo “generatore di caos” per casa sono impossibili da dissimulare. Quindi se il suo timore è che un secondo figlio possa scombussolare i piani, non si sbaglia di molto. In realtà. però, un secondo figlio non ti fa perdere l’equilibrio, ma ti costringe a spostarlo continuamente perché induce a stare in perenne movimento. C’è da correre, insomma. Ma si sopravvive.
Il passaggio della sua lettera che mi lascia più perplesso è l’auspicio che il secondo figlio sia come il primo. O meglio: il timore che possa essere diverso. Questo, a mio avviso, è un aspetto decisivo: non ci sono figli uguali ad altri e per questo non è possibile comportarsi allo stesso modo pretendendo di ottenere gli stessi risultati. Per questo, un consiglio mi sento di darglielo: se non si vogliono fare differenze tra i figli, non bisogna pensare che basti trattarli allo stesso modo. Mi spiego: l’equità, e non l’uguaglianza deve guidare un giusto atteggiamento. Equità significa dare a ognuno quel che gli occorre per esprimere al meglio le proprie qualità. Non si può pretendere di insegnare la stessa cosa alo stesso modo a due persone diverse, pensando di ottenere lo stesso effetto; non si può pretendere lo stesso risultato da due persone che partono con le stesse condizioni oggettive, perché le componenti soggettive modificano tutto.
Questa è una lezione preziosa che andrebbe applicata a qualsiasi relazione umana: con il proprio partner, per esempio, (che non è la replica in carne e ossa di quello che noi vorremmo che fosse), ma anche nel mondo del lavoro, in cui sovente si chiede a un collaboratore qualcosa che non è nelle sue corde, rinunciando a far fruttare e (sfruttare) altre qualità che rischiano di rimanere inespresse.