Scendere su un monociclo dai 2.400 metri della cima di una montagna? Roba da pazzi. Ancora di più se la salita è stata fatta di corsa, per 15 chilometri, con un dislivello di 1.500 metri e con il monociclo sulle spalle, al posto dello zaino.

Marco Liprandi, ventunenne di Frabosa Soprana, maestro di sci e studente di Ingegneria chimica al Poli­tecnico di Torino, lo ha fatto. Lunedì 29 giugno: partenza da casa sua, a Frabosa, arrivo in cima al Mondolè, a quota 2.383 metri. Una vera e propria impresa, che gli ha regalato anche una notorietà inaspettata: i video della sua fatica sono stati infatti trasmessi da Studio Aperto, su Italia1, da Tgcom e dal Tg5.

Marco, come è nata l’idea di questa impresa?
«Con un mio amico appassionato di sport e montagna come me, Dino Bonelli (sue sono tutte le foto pubblicate a corredo di questo articolo, ndr). Lui fa il fotografo sportivo: l’ho conosciuto 5 anni fa, ci allenavamo nella stessa palestra. A quel tempo avevo da poco iniziato ad andare sul monociclo, lui mi propose di fare alcune foto a Prato Nevoso che sono successivamente uscite su una rivista specializzata. Poi ha cominciato a parlarmi di questa idea di scendere dal Mondolè con il monociclo: mi piaceva e mi intrigava, ma tra i vari impegni di entrambi non abbiamo mai trovato il tempo. Dopo il “lockdown” ci siamo visti alcune vol­te per correre insieme: sia­mo tornati a parlare di quell’idea e questa volta siamo finalmente riusciti a metterla in pratica».

Che esperienza è stata?
«È stato bello, ma anche molto duro, soprattutto la prima par­te. In totale, tra salita e discesa, ci ho messo 7 ore. Non avevo mai corso in salita portandomi il monociclo sulle spalle: è stata quella la parte più difficile e lunga, mentre a scendere non ci ho messo tanto. Diciamo che la fatica fatta per salire, ti fa guadagnare la discesa! Una volta su, scendere sul monociclo è stato emozionante, mi ha dato un sacco di adrenalina e delle belle sensazioni, soprattutto la prima parte, la più complicata. Ci sono stati dei passaggi non facili, naturalmente bisogna sempre essere consapevoli che in alcuni tratti è necessario scendere dal monociclo per qualche metro».

Questa impresa ti ha portato una certa notorietà. Ti aspettavi questo successo?
«Sinceramente no, non me l’aspettavo proprio. Il merito è del mio amico Dino, che con le sue conoscenze ha iniziato a far circolare i video, che sono arrivati fino alle televisioni. Ero con lui, che faceva le foto, e con un altro mio amico, Enrico Ca­vallo, che aveva la videocamera. Quando la presentatrice di Studio Aperto ha annunciato il servizio ed è poi partito con la voce di Davide De Zan, è stato davvero molto e­mo­zionante. Ero insieme alla mia fidanzata, che mi ha fatto un video: saltavo quasi sul divano! Da quel momento sono cominciati ad arrivare i messaggi e le telefonate da parte di a­mici e conoscenti, che mi han­no fatto molto piacere. I miei genitori mi hanno detto che non po­tevano uscire di casa, perché la gente li fermava di continuo».

Come è nata la passione per il monociclo?
«È cominciato tutto 7 anni fa: ero a Les Deux Alpes, in Fran­cia, per una settimana di allenamenti sugli sci. Da poco avevamo un nuovo allenatore, che era capace di andare sul monociclo e lo aveva portato con sé: ce lo fece provare, ma nessuno di noi era in grado. Io volevo fare bella figura con lui, allora mi misi in testa che entro la fine della settimana sarei riuscito ad usarlo, almeno per percorrere il vialetto davanti all’albergo. Glielo rubavo spesso e mi esercitavo, e dopo qualche giorno effettivamente ci riuscii. Quan­do gli mostrai i miei miglioramenti, lui mi disse che potevo tenere per un po’ il suo monociclo. Da quel momento ne ho comprati altri tre ed è nata così la mia grande passione».

Una passione che è diventata anche qualcosa di più, visto che gareggi…
«Quello del monociclo è un mondo poco conosciuto, ma siamo di più di quanti si possa pensare. Ci sono diverse categorie e anche molte competizioni. Io ho imparato da solo, per un po’ mi sono allenato con delle squadre. L’ambiente è molto bello e rilassato, si sta bene e c’è anche la possibilità di girare il mondo: quest’anno a­vrei dovuto partecipare ai Mon­diali a Grenoble, in Francia. Sono stati rimandati, l’appuntamento è per il prossimo anno: io gareggerò nella disciplina del Muni, il monociclo da montagna, esattamente ciò che ho fatto scendendo dal Mondolè».

Hai in mente qualche altra “follia” da tentare?
«Vedendo il successo che ha avuto questa impresa, in effetti con i miei amici stiamo pensando di organizzare qualcos’altro. Ci sono tante altre montagne, anche vicine a casa, che si possono prestare, bisogna solo verificare che si possano adattare a questo tipo di discesa con il monociclo. Magari la prossima volta ci attrezzeremo meglio, con qualche modifica allo zai­no: ci stiamo pensando, qualche cosa la faremo di sicuro».

Intanto, continui a studiare.
«Sì, frequento il Politecnico a Torino. Vivo là e nel weekend torno a casa a Frabosa Soprana. Terminati gli studi, mi piacerebbe lavorare nell’industria farmaceutica. Ma anche continuare a fare il maestro di sci e a divertirmi con il monociclo».