Restano da girare alcune scene degli interni, di Cuneo e della casa, scene di raccordo, oltre a quella del ragazzo che arriva nell’abitazione. Poi il lavoro sarà concluso, entro l’autunno. Anche se lo potremo vedere solo nel 2021. Interamente realizzato con l’iPhone. Perché “La casa di campagna” avrà proprio questa particolarità: quella di essere un film girato interamente con il telefonino più celebre sul mercato, grazie a una “app” che lo trasforma praticamente in una macchina da presa digitale. Non si tratta di una novità assoluta nel mondo: con l’Xs Max si sono già cimentati registi visionari come Claude Lelouch, Steven Soderbergh, David Lynch, ma anche la popstar Lady Gaga per il suo ultimo video.
Il novarese Marco Ottavio Graziano, 57 anni, sa di aggiungersi a una schiera di grande valore, ma non si nasconde: «Resta un esperimento e vedremo che cosa porterà. Il risultato sul set è stato sorprendente, non sappiamo ancora quale sarà la resa sul grande schermo. Per il resto, è stata una bellissima esperienza, al di là delle aspettative. Certo, con la macchina da presa hai il controllo della luminosità e dei fuochi, tutto è manuale, mentre con il telefono è più complicato intervenire».
Per il regista questo impegno ha rappresentato il ritorno al cinema dopo alcuni anni: «L’ultimo lavoro era stato “Emigranti”, un documentario del 2010 sui viaggi dall’Italia all’Argentina. Questa, però, è una storia mia, ne sono anche autore. E il gruppo di lavoro è formato da amici. Così come sono amici coloro i quali mi hanno concesso l’utilizzo di questa splendida casa nelle campagne verso Borgo San Dalmazzo, un luogo fatato e fuori dal tempo, dove ogni dettaglio fa la differenza. La scenografa Giulia Ghigo, torinese che vive a Novara, ha realizzato un vero e proprio itinerario della memoria, un set suggestivo». La storia gira attorno a Giulio, il protagonista, ragazzo ventenne che riapre la casa di famiglia per la sua prima estate da solo. Ci sono oggetti che raccontano ricordi e suggestioni.
Graziano svela il suo amore per questi luoghi: «C’è Cuneo sullo sfondo con il suo fascino discreto. È una città che vive sottovoce, sotto i portici non senti mai urlare. Ha uno stile unico. La casa è all’imbocco della Val Stura, un edificio del ‘700 con giardino quasi segreto. Un luogo perfetto dove il tempo si è fermato».
Girare, in questo contesto, un film con il telefonino è sembrato quasi un paradosso, in mezzo a oggetti d’epoca come un giradischi degli anni ‘70 e un telefono a rotella. «E i richiami al tempo che scorre», dice il regista, «sono stati ricorrenti. In una storia emotivamente senza tempo, dove il ragazzo protagonista cresce, tanto da uscirne più maturo. Questa è la singolarità. Con una “troupe” composta da sessantenni… Ma con giovani che ci hanno assistito, ad esempio, per scaricare le immagini dall’iPhone». In fondo è stato questo il senso del film, legato al tempo e ai percorsi di crescita: «Non si invecchia se si conserva la voglia di crescere, anzi, si continua ad apprendere in una eterna maturazione. Anche il mio direttore della fotografia, Roberto Chiesa, classe ‘56, per il film si è rimesso in discussione, ha acquisito nuove certezze. Ma è proprio qui la magia del film. Se ci penso, io stesso ho cominciato anni fa con l’otto millimetri e sono arrivato al cellulare». I suoi inizi sono stati all’insegna del cinema puro: Bergman, Visconti, Truffaut. Ha apprezzato il secondo Bertolucci, anche quello di “Io ballo da sola” e “L’assedio”. Ultimamente ha amato molto “Chiamami col tuo nome”, il film di Luca Guadagnino su sceneggiatura di James Ivory. Ed è arrivato al suo ultimo film incentrato sulla casa di campagna. Giulio, il protagonista, è Andrea G. Bernardi, studente di filosofia a Torino ma nato a Savigliano e originario di Tarantasca. «Elena Griseri, attrice cuneese, ha fatto da “coach” al ragazzo aiutandolo a entrare nella parte», aggiunge Marco Ottavio Graziano. «E l’affiatamento che si è creato è qualcosa di notevole». Come in tutto lo staff. Tra giovani e meno giovani. La colonna sonora, ad esempio, è stata realizzata da un 23enne.
L’emergenza legata alla diffusione del coronavirus ha portato le sue limitazioni. Ha imposto un cinema fatto di sguardi, «ma in fondo il mio cinema è sempre stato così», osserva Graziano. Sguardi più che baci e abbracci. Una questione di adattamento. La storia di Giulio, in fondo, è una specie di quarantena che il ragazzo trascorre nella casa di campagna della famiglia, un periodo di isolamento che richiama, casualmente, l’attualità. Il tempo che si rincorre e ritorna.