Una significativa coincidenza ha legato Ennio Morricone ad Alba.
Il grande musicista scomparso lunedì scorso era nato a Roma il 10 novembre del 1928, pochi giorni dopo quel 16 ottobre dello stesso anno in cui andò in scena la prima edizione della Fiera internazionale del tartufo bianco d’Alba. E quando Morricone, due anni fa, ha festeggiato il traguardo dei suoi 90 anni, la capitale delle Langhe si è ricordata della coincidenza contattando il famoso compositore per assegnargli un riconoscimento molto particolare: un tartufo “alla carriera” che l’allora sindaco Maurizio Marello e la presidente dell’Ente Fiera del tartufo, Liliana Allena, gli avevano consegnato direttamente nella sua abitazione di Roma.
«Sarei contento se il profumo del tartufo durasse per sempre. Sarei contento a immaginarlo. E mi pare strano sostituirlo con questa folle idea». Il “Maestro” scrisse queste originali parole su un biglietto di ringraziamento che oggi è custodito tra i cimeli della Fiera.
Quel profumo che dura per sempre assume ora un significato speciale e viene istintivo associarlo a un’altra magia, quella del suono della sua musica. Una musica che, se
vogliamo, ha una marcia in più rispetto a quella di altri grandi compositori. Perché le melodie di Ennio Morricone hanno preso forma spesso da capolavori di origine cinematografica, moltiplicando quindi il fascino indescrivibile di quei film e facendoli letteralmente volare su note straordinarie.
Il western è stato il genere che gli ha dato maggior gloria. Le sue musiche hanno
accompagnato l’epopea dei film italiani ambientati in un Far West quasi sempre idealizzato, trovato negli scenari campestri nostrani della Sardegna o della Toscana. E capace di imporsi addirittura nella patria stessa d’origine di quelle stesse storie. Certe indimenticabili melodie hanno reso immortali le opere di Sergio Leone, Duccio Tessari e Sergio Corbucci.
Un’avventura imprevedibile e coinvolgente, da “Il mio nome è nessuno” a “Una pistola per Ringo”. Qualcosa in grado di aprire a Morricone le porte del mercato americano e soprattutto del cinema “hollywoodiano”. Con registi di grande personalità e di diversa ispirazione, autori immaginifici come John Carpenter o Brian De Palma, ma anche Oliver Stone, Roman Polansky e, più di recente, il dissacrante Quentin Tarantino. Che disse: «Morricone è il mio compositore preferito e quando parlo di compositore non intendo quel ghetto che è la musica per il cinema ma mi riferisco a Mozart, Beethoven e Schubert».
Aveva ragione. Tutti i registi, in tutto il mondo, erano protesi verso la sua musica, anche Stanley Kubrik, che lo aveva contattato per “Arancia meccanica”: il maestro italiano disse no perché impegnato con “Giù la testa” di Leone. Ha meritato due Oscar dopo le cinque nomine ricevute tra il 1979 e il 2001 finite sempre senza premio: un dettaglio insignificante, compensato da altri innumerevoli riconoscimenti e perfino dai 70 milioni di dischi venduti: tre Grammy Awards, tre Golden Globe, sei Bafta, dieci David di Donatello, undici Nastri d’argento, due European film awards, un Leone d’oro, un Polar music prize.
Il funerale è stato celebrato a sorpresa, in forma privata. Morricone, prima di morire (per le conseguenze di una caduta), aveva scritto il suo necrologio: «Non voglio disturbare», aveva spiegato. «Io, Ennio Morricone, sono morto», l’incipit del commovente ultimo saluto che termina riferendosi alla moglie Maria con parole struggenti: «A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A lei il più doloroso addio». Finisce, quindi, la storia di un uomo pieno di talento (da giovane aveva giocato, con buoni risultati, come attaccante anche nella Roma, poi si era specializzato negli scacchi) ma da qui in avanti comincia una leggenda, anzi continua. Qualcosa che forse troverà la consacrazione formale con l’intitolazione alla sua memoria dell’Auditorium di Roma.
A riprova della sua multiforme genialità, prima della carriera da compositore di colonne sonore, Morricone aveva fatto in tempo a evidenziare la sua notevole versatilità realizzando, come giovane arrangiatore della casa discografica Rca, brani popolarissimi come “Sapore di sale”, “Il mondo” o “Se telefonando”. In pratica, buona parte del “sound” italiano degli anni ‘60.
Dagli Usa ha ricevuto stima e fama, ma non ha mai imparato l’inglese ed è sempre rimasto fedele alle sue passioni. Con la sua musica ha raccontato anche l’Italia, pure immaginando altri mondi. Il paese del talento in tutte le sue forme. Amato in tutto il mondo, come Ennio. Questa è stata forse la sua magia definitiva.