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«Nelle sue statuette la cultura occitana»

Le opere in legno del robilantese “Jòrs de ‘Snive” descritte da Mario Dalmasso

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Spesso un aneddoto, un breve racconto o una bat­tuta spiritosa raccontano molto di più sulla vita di una persona rispetto a un intero libro, come del re­sto spiegò Plutarco, quando decise di rac­con­tare le biografie dei grandi della storia, focalizzando l’attenzione sui piccoli episodi piuttosto che sulle imprese me­morabili.

Que­sta settimana la Ri­vista IDEA vi porta alla scoperta della tradi­zione della Valle Ver­me­nagna at­traverso la storia di “Jòrs de ‘Sni­ve”, personaggio storico del pri­mo ‘900 che visse a Ro­bilante, do­ve è ricordato per le sue opere d’arte realizzate assecondando una particolare abilità nella lavorazione del legno.

«Dava poca importanza al denaro e molta al “dono” tanto che re­galò la maggior parte delle sue opere», spiega Mario Dal­masso, che negli scorsi anni ha iniziato a ricercare, catalogare e studiare le opere dello sculture del legno.

Prosegue Dal­masso: «Si dice che un giorno, mentre era al pascolo, lo avvicinò un signore che andava a caccia, forse un direttore di ban­ca, il qua­le, vedendo i bastoni che “Jòrs” aveva realizzato, chiese il prezzo. “Costano quello che lei guadagna in un mese”, rispose “Jòrs”, volendo sottolineare, in tono provocatorio, il fatto che le opere che realizzava fossero frutto di un grande lavoro e meritassero pertanto an­che un certo rispetto».

Mario Dalmasso, chi era “Jòrs de ‘Snive”?
«All’anagrafe era Giorgio Ber­tai­na; il soprannome con cui è conosciuto oggi in tutta la valle, e non solo, gli era stato attribuito per distinguerlo da un altro Gior­gio, più anziano di lui, che veniva chia­­mato “U sergent”. “Sni­ve” è il nome del luo­go da cui proveniva, poco sot­to le “Piag­­­­ge”, do­ve, ogni anno, la pri­­ma domenica di ago­sto si svolge l’omonima festa (quest’anno an­nul­­lata a causa del Covid-19, ndr). Nato nel 1902 in una famiglia numerosa, non impa­rò mai a leggere né a scrivere. Era un contadino di montagna: si occupò per tutta la vita, insieme all’unico fratello rimasto a vivere in località “Snive” (gli altri emigrarono, ndr), delle coltivazioni di patate, fagioli e segale e del bestiame».

Non sapeva scrivere ma firmò comunque tutte le sue opere…
«Voleva lasciare una traccia di sé: realizzava le scritte da inserire sulle sculture copiando la frase che gli avevano scritto su di un foglio “Ricordo di Giorgio Ber­taina”. Era un suo tratto distintivo. Usava il legno per “fermare” come in un’istantanea il mondo attorno a lui».

Quali soggetti rappresentava?
«Attraverso bastoni e statuette ci ha lasciato in eredità uno spaccato sul mondo contadino occitano del secolo scorso; gli episodi che racconta sono scene di vita quotidiana o piccoli fatti di cronaca a cui ha assistito o di cui ha avuto notizia: la festa che si conclude con l’arrivo dei Carabinieri, sposalizi, scene di caccia e, addirittura, un furto».

Un furto? Ce lo descriva…
«Si racconta che “Gepin”, gestore del ristorante “L’aquila reale”, venne derubato dell’incasso che teneva nel cassetto del bancone, il cosiddetto “tiret” in piemontese, e che i Carabinieri trovarono il ladro e lo arrestarono. Così “Jòrs de ‘Snive” scolpì nel legno il proprietario con la mo­glie, il bancone con il cassetto de­gli incassi aperto e il ladro in catene».

Cosa può dirci, invece, sui bastoni che realizzava?
«Erano la sua specialità, se così si può dire. Mentre i gruppi scultorei sono “statici”, i bastoni raccontano una storia dinamica, con una sequenza scenica che segue il modello della famosa colonna di Traia­no. Ovviamente quelle che ha scolpito “Jòrs” sono storie semplici, legate a esperienze personali o, comunque, di “vallata”».

Che tipo di legno intagliava?
«Qualunque. A casa lavorava il bloc­co grezzo, poi al pascolo ri­fini­va i dettagli con un piccolo “ver­nantin” (“coltellino”, ndr). Lo incontrai quando avevo otto anni: ricordo che portò me e alcuni ami­ci a vedere le sue statuette. Le teneva in una stalla: sembrava un presepe vivente. Tuttavia, nessuna delle sue statuette è tratta dalla vita religiosa; vi è solo una piccola immagine di San Magno, scolpita sopra il giogo di una vacca. I sacerdoti simboleggiavano l’aldilà, qual­cosa che era difficile da conoscere e, quindi, piuttosto complesso da rappresentare».

Come valorizzate la sua arte?
«Nel 1994, come volontari della biblioteca comunale, abbiamo deciso di raccogliere le opere di “Jòrs”. Siamo riusciti a recuperarne un centinaio. Gli abbiamo an­che dedicato un sentiero, che par­te dal Museo della fisarmonica: la strada, segnalata con tacche e cartelli rossi e bianchi, lambisce “Teit Lesibel” e “Teit Rescas”, per giungere alla casa-laboratorio di “Jòrs de ‘Snive”; questo edificio potrebbe diventare, in futuro, un’altra area espositiva sulla storia dello scultore e su quella di Robilante».