Home Articoli Rivista Idea “Canale in cammino” grazie agli occhi di Paolo Destefanis

“Canale in cammino” grazie agli occhi di Paolo Destefanis

Video-omaggio alla capitale del pesco

0
269

35 minuti di video, 3 me­­si di “lockdown” per realizzarlo e tutta la vita passata nelle sue vie e tra i suoi abitanti per concepirlo. Si può decostruire così “Canale in cammino”, un documentario, for­se il primo totalmente dedicato a Canale, alle sue storie, i suoi spunti, i suoi scorci e le sue suggestioni. La pro­duzione porta la firma di Paolo Destefanis, cronista della sinistra Tanaro dal 1994, collaboratore di alcune testate giornalistiche della Granda, tra cui anche Rivista IDEA, ma anche impiegato del servizio anagrafe a Castagnito nella vita di tutti i giorni.

Paolo, da cosa è partito per questo documentario che funziona anche se lo si ascolta senza ve­dere le immagini o lo si guarda con l’audio staccato?
«Diciamo che “Canale in cammino” è, per certi versi, un debito da onorare con quello che è il posto in cui sono nato, cresciuto e che ancora chiamo “casa”.

Ho pensato più volte a come ogni angolo di strada, di collina, avesse qualcosa da raccontare: un po’ perché, co­me accade a ognuno di noi, basta il segno su un mattone, il fronte di u­na chiesa, per evocare ricordi personali o di racconti ascoltati nel tempo. Un po’ anche perché, sin da piccolo, ho sempre creduto che tutti questi pensieri insieme potessero comporre una sorta di storia collettiva. Così ho iniziato a raccogliere immagini, piccole riprese, inizialmente sen­za un filo razionale: spinto solo dalle emozioni che, di volta in volta, Canale sa­peva portare prendendomi idealmente “per mano”.

E poi, il pe­riodo dell’emergenza sanitaria… Per me sono state settimane intense: ho continuato a lavorare nel “mio” Comune di Ca­sta­gnito, senza smettere di scrivere, cercando di rimanere il più possibile quel fondamentale legame con quegli “affetti più cari” (che, capovolgendo le parole di Pa­vese, sono le più liete abitudini) ma accorgendomi di giorno in giorno di quanto po­tesse essere stravolgente la “nuo­va normalità” di quei me­si. Cosa fare, allora? Dare fuo­co a quell’i­deale o­vatta che stava av­volgendo ognuno di noi, ripescando quelle foto, quei video, immaginandone altri da fare non appena giunto il primo segno di “via libera”.

Im­magini di anni passati, alcune addirittura di dieci, quindici anni fa, che ne hanno chiamate altre, dettando quel filo logico che mancava. Con il fondamentale aiuto, in termini di ordine e di spunti, da parte di mio padre Giovanni (che di suggestioni canalesi è una mi­niera vivente) e della mia compagna Marialuisa.

Hanno saputo an­che sollevarmi dalla mia latente pi­grizia: cogliendo di giorno in giorno l’entusiasmo che stavo vivendo in questa sorta di avventura, abituandosi al sentirmi parlare di capitoli che di­ventavano pri­ma quattro, poi sei, sino agli otto della versione finale, pazientando ogni volta in cui mi arrabbiavo in modo “sano” per le varie difficoltà tecniche di produzione, apprezzando in mo­do bo­nario le musiche che via via componevo.

Alla fi­ne, la lavorazione è durata un me­se e mezzo: so che per certi versi resta un lavoro un poco “naif”, artigianale, pur lontano dai “geniali dilettanti” di fenogliana memoria. Ma è pronto, è qui: e spero pos­sa essere utile, come invito a scoprire e riscoprire Canale».

Utile ai canalesi o agli al­tri?
«Mi piace pensare che “Canale in cammino” possa essere letto su più livelli, che si possa scegliere la via della narrazione per immagini e la linea delle parole: come una riflessione sulle qualità storiche della nostra cittadine vissuta “dal di dentro”, ma an­che come un modo per avvicinarsi a questo luogo che (lo so, è una cosa ai li­miti dello sciovinismo) trovo me­raviglioso così co­me ogni po­sto che fa rima con “casa”. Le persone che vivono qui possono sentire un che di familiare nei nomi di chi in ogni tempo ha fatto davvero opera di memoria, così co­me accade in ogni paese, per fortuna. Qui ci sono state figure co­me Dalzo Brac­co, Paolo Pa­squero, il giornalista Fortunato Lo­­­visolo che fu anche un’eccellente “penna” della Gazzetta del Po­polo: ma anche storici come Bal­das­sarre Molino, senza il qua­le il Roe­ro sarebbe di­verso. Ecco, vor­rei cogliere l’oc­casione per rin­graziarlo per tutta la sua opera».

In questo video, come pure nella sua attività giornalistica, dimostra di avere competenze e conoscenze in campi diversi, oltre che un grande amore per il Roero. Dovessi scegliere un tratto distintivo per raccontarsi, quale sceglierebbe?
«Domanda dalle cento pistole! Diciamo che sono un ragazzino a cui un giorno hanno det­to: “guarda, se vuoi capire un poco di più di cosa accade in questo mondo, devi iniziare dai luoghi in cui vivi”: uno che, da lì, ha iniziato ad ascoltare i racconti dei grandi e degli anziani, scoprendo via via un interesse sempre più vivo per ciò che riguarda l’appuntarsi ogni cosa, per poterla poi raccontare agli altri. Ecco, è così che ho iniziato a scrivere: mantenendo vivo quel ragazzino che è ancora dentro di me. Per questo, spesso, continuo a fare qualche follia».

Avendo a disposizione un vero “congiunto del Roero” come lei, vorrei chiudere con una sorta di “spot” per la sinistra Tanaro. Cosa caratterizza più di ogni altra cosa queste terre?
«Abbiamo senza dubbio un senso di appartenenza sempre più forte a questa parola, “Roero”, e alla terra che ne significa: la vivacità non ci manca, e la consapevolezza delle qualità del nostro territorio sta aumentando nel tempo.

Abbiamo un patrimonio fatto di ambiente e cultura di valido potenziale, che passa da una biodiversità da preservare, a tratti storici e architettonici che ora chiedono di essere definitamente fruibili ai visitatori.

Le braccia sono già spalancate: e penso a ogni volta in cui mi reco in Sicilia, nei luoghi di Montalbano che sono diventati per me un po’ una terra adottiva. Sorrido, ogni volta che sento dire che i piemontesi se li figuravano diversi, più “chiusi”: il fatto è che qui, nel Roero, lo spirito di accoglienza è un’attitudine.

E poi abbiamo il Roero Arneis Docg: un vino che è come un biglietto da visita, che sa stupire ogni volta in cui usciamo dai nostri confini. La direzione è quella giusta: ora andiamo avanti, tutti insieme».