Nicola Porro, lei ha un osservatorio privilegiato: a Quarta Repubblica, la sua trasmissione su Rete Quattro, passano molti politici. Come li ha visti nell’ultimo periodo?
«Distaccati dalla realtà e al tempo stesso attenti ad agire per loro stessi, molto più che in altre occasioni».
Vuole dire che la “poltrona” resta la cosa più importante in certi casi?
«In questo momento i problemi da risolvere in Italia sono tanti, ma mi sembra che la politica si occupi di affrontare solo i suoi problemi, non quelli delle persone…»
Eppure il Covid ha lasciato una realtà ancora più complicata di prima.
«Ma la politica vive fuori da questa realtà, purtroppo è così. È un’eresia continua».
A cosa si riferisce in particolar modo?
«Ultimamente mi ha fatto molto arrabbiare il dibattito sullo stato di emergenza che Conte vorrebbe prorogabile fino a dicembre in nome del pericolo sanitario. Con pieni poteri senza neppure passare dal parlamento. Una cosa incredibile!».
Sul suo blog ha attaccato duramente proprio il premier Conte e il suo portavoce Casalino.
«Ma sì, ma come è possibile? Avrebbero voluto pieni poteri in nome di cosa? L’emergenza è sanitaria o economica? Mi chiedo dove sia finita la sinistra… Qui si parla degli stessi pieni poteri che a un certo punto chiese esplicitamente Salvini e che gli costarono il ruolo di vicepremier».
Anche lei ha fatto i conti con il virus: come ne è uscito?
«Molto bene, non avevo malattie pregresse. Mi hanno spiegato e mi sono tranquillizzato. Il contrario di quanto è accaduto in generale con gli italiani. Quindi ho deciso di raccontare: era giusto sottolineare che chi era in buona salute, quasi sempre avrebbe evitato complicazioni. Una questione di realismo, non di negazionismo».
Si unisce al coro di chi annuncia che l’autunno porterà una situazione generale, soprattutto economica, molto difficile da gestire?
«Penso che sia molto probabile. Le avvisaglie ci sono tutte. Ma il problema è che in Italia siamo fenomeni nell’esaltare chiunque quando le cose vanno bene per poi passare agli insulti ai leader in piazza. Manca la necessaria razionalità».
Secondo lei il Governo ha una visione del futuro oppure nelle misure prese fin qui c’è stata molta improvvisazione?
«Per un mese, all’inizio del “lockdown”, abbiamo sentito parlare di qualcosa come 13 miliardi, di una cifra mai vista prima per far ripartire le attività. E poi quei soldi chi li ha visti davvero? La cassa integrazione in molti casi non è ancora stata pagata e i ritardi cominciano a essere molto più che imbarazzanti. No, non c’è nessuna visione, solo un’idea vaga di assistenzialismo sociale che non porta e non porterà a niente. Perché quella dell’assistenzialismo non è una soluzione che può funzionare per sempre ma solo, al massimo, nell’immediato. E come abbiamo visto, non è comunque questo il caso».
Teme che possa esserci una reazione della gente?
«Le persone, quando iniziano ad avere fame, vanno in piazza. Questo Governo dovrebbe spiegare perché, in nome di una non-emergenza sanitaria, l’economia del paese è stata danneggiata a tal punto da far scivolare l’Italia (secondo una classifica stilata di recente dall’Economist) al penultimo posto tra i principali paesi industrializzati del mondo. Penultimo posto!».
Che cosa pensa della comunicazione durante le misure restrittive, dei virologi e dei bollettini del Covid in prima serata?
«Diciamo che qualche scusante generica dobbiamo riconoscergliela. Nessuno sapeva cosa fosse questo virus, nessuno lo aveva mai visto prima. Detto questo la colpa del Governo è stata quella, evidente, di deresponsabilizzarsi a vantaggio del comitato tecnico-scientifico che ha favorito decisioni o non decisioni a volte incomprensibili. Come nel caso della scuola: una serie di scelte mancate. E ancora non si sa come e quando le scuole riapriranno».
Dove andrà l’Italia nel prossimo futuro?
«Andrà a sbattere. Non vedo altri sbocchi».
A proposito, la questione Autostrade?
«Abbastanza paradossale. Che poi non si capisce quale debba essere la via d’uscita. Mettiamo anche che la concessione venga sottratta ai Benetton, cosa che vedo improbabile. A chi andrebbe la gestione di un servizio tanto complesso? All’Anas? A un ente pubblico che fa già fatica a tenere in piedi la sua baracca?».
Anche lei vede le elezioni come unica possibile via d’uscita?
«L’unica soluzione democratica è questa».
Nell’aria c’è sempre l’ipotesi Draghi.
«Non credo proprio che Mario Draghi sia intenzionato a mettere così a repentaglio la sua illustre carriera».