Home Articoli Rivista Idea «Il Velodimaya è il vero senso della nostra vita»

«Il Velodimaya è il vero senso della nostra vita»

Il monologo di Natalino Balasso nel capoluogo . «La scuola ci parlava di guerre, non di uomini»

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Il filosofo Arthur Scho­penauer, che riprese la filosofia indiana per riproporre il concetto del Velo di Maya, è conosciuto soprattutto per il suo pessimismo cosmico. Natalino Balasso è invece un comico molto apprezzato. Che ha intitolato appunto “Velo­di­maya” il suo ultimo monologo, quello che gli spettatori di Cu­neo potranno apprezzare martedì 28 lu­glio. Pessimista an­che lui? In realtà, come spiega nell’intervista, Balasso in quanto artista non ha il compito di arrivare alle conclusioni del problema. Fornisce elementi per una valutazione. Quindi: fate voi.
Ma alla fine dello spettacolo il ve­lo sulla realtà si solleva, Ba­lasso?
«Credo che per definizione sia impossibile farlo. La realtà è proprio quella che si scorge at­traverso il velo: è fuori fuoco».
Che cosa resta allora allo spettatore?
«Qualcosa di quello che è stato il mio percorso di vita fin da piccolo. In fondo, l’educazione che cos’è se non un mezzo che consenta ai figli di evitare gli errori commessi dai genitori? Siamo cavie che sperimentano questa esistenza. Io cerco di raccontare, in una chiave artistica e grottesca, le sfaccettature della mia personale esperienza. Un lungo percorso, dato che ormai sono vecchio, ho 60 anni».
Com’è stata la sua vita?
«Per rispondere a questa do­manda avrei bisogno di altri 60 anni.,, La mia è una storia come quella di tutti. Solo che c’è di mezzo il lavoro che faccio, ovvero la comunicazione. Ho capito che è sbagliato pensare che attraverso la comunicazione si possa convincere qualcuno. Chi riceve le informazioni capisce quello che vuole».
Quindi è un’operazione inutile?
«Voglio dire che in realtà riusciamo a fare tesoro di tutto, ma senza distinguere tra bene e male. Così per esempio la scienza fa progressi continui, ma al tempo stesso anche il crimine progredisce».
È questo il messaggio del suo spettacolo?
«Sì, l’unica difesa che abbiamo è leggere. Il più possibile. Ma la scuola, per esempio, non ci insegna a distinguere tra male e bene, la Storia nei programmi didattici in realtà è Storia delle guerre. Il periodo scolastico è tutto incentrato su questo argomento, non si studia certo la Storia dell’umanità».
Questo però accade anche al­l’estero, anzi forse è da certe cul­ture che subiamo condizionamenti.
«Passo in rassegna i luoghi co­muni. La civiltà americana è quella dei “western”, dove la ven­detta serve a giustificare il poter sparare a chi è malvagio».
Immagino che ciò che è accaduto durante l’epidemia sia entrato di diritto oltre il velo di Maya…
«Abbiamo letto di persone che morivano di coronavirus, anche se in realtà non era stata quella la causa. Per i giornali era comunque un argomento che faceva tiratura. I virologi? Ognuno ha trovato quelli preferiti, anche la scienza è diventata oggetto di tifo. Perché in fondo la scienza non arriva dagli alieni, è un metodo. E le pubblicazioni scientifiche so­no comunque legate alle persone e soggette a errori. La scienza è piena di errori. E i virologi hanno mostrato questo aspetto».
Crede che le persone possano diventare più consapevoli e, in definitiva, migliori?
«Non lo so, gli artisti non forniscono risposte, non han­no questa responsabilità. Io ad esempio pon­go domande sulla base delle percezioni che ho della realtà. Que­­­sto problema secondo me è destinato a rimanere irrisolto».
Per quale motivo?
«Perché siamo esseri razionali ma non possiamo fare a meno del nostro lato animale. Non possiamo fare a meno delle emozioni, del sesso. Però la razionalità ci spinge verso la direzione opposta. Un problema irrisolvibile. L’essere umano tende a sovrastimarsi. Non vedo molte differenze tra la civiltà attuale e quelle di migliaia di anni fa».
Ne parlerà a Cuneo. A proposito, la conosce?
«Ci sono già stato e ammetto che il mio giudizio è condizionato dall’aspetto culinario… Però anche la bellezza del luogo è innegabile. Alla fine credo che se gli umani del luogo sanno cucinare così bene, si sono meritati tanta bellezza».
Prossimi progetti?
«Ne avevo molti prima del Covid, ora non saprei. I monologhi non rappresentano una vera ripartenza, a ottobre sarà davvero possibile aprire i teatri al grande pubblico? Vedremo».