Il campanile ha appena “battuto” le sei quando raggiungiamo Briaglia, nel cuore delle colline monregalesi. Due anziani chiacchierano all’ombra degli alberi che conducono al centro storico. Una bimba si diverte correndo insieme alla mamma che, più indietro, la osserva con il sorriso sulle labbra.
«Buonasera, Renato, tanti auguri!», esclama una signora che, probabilmente, sta rincasando per preparare la cena. Ci voltiamo e, dall’altra parte, vediamo Renato. Non un Renato “qualunque”, bensì quello che ha fatto la storia del cabaret e della comicità: Renato Pozzetto. Ma a Briaglia, lui è Renato e basta, perché ormai è di casa. Tanto che chi abita da quelle parti conosce a memoria la sua data di nascita (14 luglio) e non si stupisce incontrandolo nel cortile di casa. Il noto artista milanese frequenta questo suggestivo angolo della provincia di Cuneo da ormai 28 anni, ovvero da quando è amico di Piervincenzo Marsupino, titolare dell’omonima trattoria da lui gestita insieme alla moglie Franca. Siamo lì proprio per Renato. Con noi abbiamo il numero della Rivista IDEA del 1989 sulla cui copertina è ritratto proprio Pozzetto. Anche in quest’occasione l’artista è ospite degli amici, che hanno organizzato una piccola festa in occasione dei suoi 80 anni e… dell’inaugurazione del nuovo forno di casa. Tra gli invitati c’è un’altra persona molto legata a Pozzetto: il produttore di vini lamorrese Elio Altare. «Appena le norme anti Covid lo hanno permesso, sono tornato nelle Langhe», sottolinea Pozzetto, invitando gli amici ad affiancarlo durante l’intervista. «Desidero che da questa chiacchierata emerga il forte e sincero legame che ci unisce», puntualizza il cabarettista e comico.
Renato Pozzetto, ricorda la prima volta a Briaglia?
«Non la scorderò mai. Arrivai con l’elicottero e non fu semplice atterrare perché c’era mezzo metro di neve. In Piemonte venivo già prima di conoscere queste meravigliose persone. Ho infatti sempre amato la vostra cucina e i vostri vini. Negli anni, sono stato nominato ambasciatore della nocciola dalla Confraternita di Cortemilia e ho collaborato con Elio Altare per la realizzazione di alcuni suoi progetti solidali; inoltre, ho sviluppato una bella amicizia anche con il viticoltore di Monforte d’Alba Guido Fantino».
Qual è il suo piatto preferito?
«I ravioli del “plin”, senza dubbio, ma apprezzo molto anche le carni e non rinuncio mai al vitello tonnato, oltre, ovviamente, a un buon bicchiere di vino».
È un intenditore, insomma. Non a caso ha aperto anche una sua attività di ristorazione, la “Locanda Pozzetto”.
«Una quarantina di anni fa, quasi per caso, io e mio fratello acquistammo all’asta un casolare affacciato sul Lago Maggiore, nel comune di Laveno Mombello, in provincia di Varese. Dopo averlo utilizzato come casa per le vacanze, decidemmo di trasformarlo in locanda. Vista la mia passione per la vostra cucina, dirò al mio chef di studiare un menù con specialità lombardo-piemontesi».
A Briaglia la gente la tratta come un conoscente. Altrove, invece, lei è “l’altro” Renato.
«È anche per questo che torno tra queste colline il più possibile. Nel resto d’Italia, sono “il Pozzetto dei film” e, di conseguenza, devo indossare i panni dell’attore. Non che non mi faccia piacere, ma non sempre le persone che mi chiedono una fotografia o una battuta sono garbate».
Ciò conferma quanto sia ancora grande la sua popolarità. Come è iniziato tutto?
«Da un bambino in fuga da una Milano sconvolta dai bombardamenti. La mia era una famiglia povera e, allo scoppio della guerra, mio padre, valigie di cartone in mano, ci condusse a Gemonio, nel Varesotto, da alcuni parenti che facevano i contadini. Ero piccolo, ma ricordo quanto fosse duro l’inverno. C’era un freddo “della Madonna”!».
Poi l’incontro con Cochi.
«Conobbi Cochi (all’anagrafe Aurelio Ponzoni, ndr) giovanissimo. Con lui condividevo la stessa storia d’infanzia, oltre che la passione per il canto e la musica. Ci separava soltanto un anno di età (Cochi è nato nel 1941, un anno dopo Pozzetto, ndr). Iniziammo ad esibirci a Gemonio, durante le feste di paese. Poi sbarcammo a Milano, dove incontrammo Piero Manzoni (noto per la “Merda d’artista”, ndr), Dario Fo, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber, da cui Cochi ha imparato a suonare la chitarra. Con loro e altri artisti, tra cui Felice Andreasi, Lino Toffolo e Bruno Lauzi, realizzammo un nostro cabaret, finché arrivò la chiamata da quello più importante d’Italia, il “Derby”, che ci ha portati a recitare sui palcoscenici di tutto lo Stivale e in televisione, a “Canzonissima”, raccogliendo un enorme successo con la canzone “E la vita, la vita”. Del resto, come recita il brano stesso, la vita è bella soltanto se si può contare su un ombrello sotto il quale cercare riparo».
Poi il cinema, con il boom de “Il ragazzo di campagna”.
«Sono legato a quel personaggio, tanto che vorrei comprarmi un trattore simile a quelli usati per girare il film. In generale, comunque, non ho preferenze: ciascuna delle oltre 60 pellicole in cui ho recitato è stata una sfida».
La vedremo ancora protagonista sul grande schermo?
«Sì, interpreterò il padre di Vittorio Sgarbi nel nuovo film di Pupi Avati. Nel resto del tempo, starò con i miei veri amici».
«Con i veri amici la vita l’è bela»
A Briaglia incontro con Renato Pozzetto grande estimatore della provincia di Cuneo