“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Certo, quando Antoine-Laurent de Lavoisier ha formulato la sua “legge della conservazione della massa” non poteva immaginare che si sarebbe potuta applicare alla perfezione anche a Biagio Fabrizio Carillo.
Eppure è proprio così, perché le competenze acquisite in oltre 37 anni di servizio nell’Arma (di cui tre presso l’istituto superiore di tecniche investigative dove ho insegnato per i Carabinieri la criminologia investigativa), in ultimo come comandante dei Nas (Nuclei antisofisticazione e sanità) di Alessandria, con competenza anche sulle province di Cuneo e Asti, sono servite al Colonnello dei Carabinieri pure per la sua attività di criminologo, saggista assai apprezzato e scrittore di romanzi “noir”.
E non di meno serviranno ora che per il bresciano d’origine, “adottato” lavorativamente dal Piemonte e dalla Granda è arrivato il congedo dalla Benemerita. Un passaggio significativo che non manca di fornire nuove stimoli per chi è capace di coglierli, come conferma a IDEA il diretto interessato.
Dopo più di 37 anni ha completato un percorso lavorativo intenso e gratificante. Come è stato congedarsi da una vita lavorativa così particolare?
«Devo molto all’Arma che mi ha permesso di crescere, di formarmi e di affermarmi anche come professionista nell’ambito della criminologia. Certo ora si conclude un ciclo, ma sono consapevole del fatto che fosse il momento di chiudere questa importante fase, che ho vissuto sempre con entusiasmo e passione, e aprirne un’altra, che spero sarà altrettanto significativa».
Da scrittore e criminologo, però, non si va mai in congedo…
«In realtà non ci si congeda mai neanche dall’Arma. Come disse una volta il generale Dalla Chiesa: “Gli alamari ti restano cuciti sulla pelle”. E poi anche l’esperienza da scrittore deve molto alla mia carriera nell’Arma: ho fatto il percorso inverso a quello che si fa di solito, ossia sono partito dalla pratica per poi acquisire la teoria. Partire dal conoscere una scena del crimine e dal sapere come si conducono le indagini perché le si è svolte in prima persona è stato di certo un grande vantaggio. Ho scritto 6 noir assieme a Massimo Tallone e la mia esperienza professionale è servita per mettere le conoscenze tecniche al servizio del racconto, sommate alle qualità di scrittura di Massimo. Il rischio che si vuole correre in questi casi è quello di essere autobiografici, cosa che appesantisce la scrittura e spesso non produce buoni risultati».
Di certo il bagaglio di competenze e conoscenze costruito in quasi 40 anni non smetteranno di dare frutti in più ambiti…
«Ora che non sono più in servizio potrò mettere la mia esperienza, non ultima quella con il Nas, al servizio di chi ne ha bisogno, magari fornendo delle consulenze, ma di certo avrò anche più tempo da dedicare allo studio e alla ricerca. Selezionerò quel che mi interessa di più e lo farò con i tempi che potrà stabilire io. A ottobre uscirà per la casa editrice Express il mio “Manuale di tecnica dell’investigazione criminale”, che considero il mio testamento professionale. Un volume di circa 800 pagine in cui si affrontano diversi aspetti dell’investigazione: da quelli tecnici a quelli psicologici, come le tecniche di interrogatorio, passando per quelli metodologici. Penso e spero possa essere un lavoro utile per investigatori in servizio e interessante per chi è appassionato di questi temi».
Buona parte della sua carriera nell’Arma è legata al nostro territorio. Che idea se ne è fatto?
«Sono nato e cresciuto a Brescia ma ho lavorato soprattutto in Piemonte: da sottoufficiale sono stato per un periodo a Mondovì e nella zona di Mombasiglio, poi da ufficiale a Novara, Chieri, Fossano e Torino. Poi c’è stata l’esperienza al Nas, per il quale ho lavoravo nelle province di Asti, Alessandria e Cuneo. La Granda è la provincia che dal punto di vista affettivo e professionale mi ha regalato di più, la mia patria d’adozione. Avrò sempre un bel ricordo, un senso di riconoscenza per questo territorio e un’ammirazione per le persone che la abitano, per i loro principi, il loro senso delle istituzioni. Sono un modello positivo dal punto di vista dell’onestà, dell’affidibilità e del riconoscimento del merito».