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1990 – Le “notti magiche” dei Mondiali

Oltre alle emozioni regalate dagli azzurri, giunti in semifinale, rimane il ricordo del Costa Rica, “adottato” da Mondovì

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Ci sono eventi sportivi che finiscono per segnare un’e­poca e diventarne una sorta di manifesto, ideale per raccontarla (non solo agli appassionati di sport) anche a decenni di distanza.
In questa ristretta cerchia rientrano i Mondiali di “Italia ’90”, uno degli appuntamenti sportivo che più hanno infiammato il Belpaese. Fu la Cop­pa del mon­do di Roberto Bag­gio e di Bruno Pizzul, degli occhi assatanati di Totò Schillaci, l’operaio del pallone divenuto eroe a suon di gol, e delle “Notti magiche” cantate da Edoardo Ben­nato e Gian­na Nannini. Ma furono anche i Mondiali del­l’Italia della “Milano da bere”, delle 24 morti sul lavoro nel corso della costruzione degli stadi e delle tan­te inchieste, una sorta di preludio inconsapevole alla Tangentopoli che sarebbe e­splosa poco più di due anni dopo.
Tutto ebbe inizio il 19 maggio 1984 quando l’Italia, vincendo la concorrenza dell’U­nione so­vietica, ottenne dalla Fifa il via libera per l’organizzazione dei Mondiali nello Stivale, per la seconda volta do­po l’edizione “fascista” del 1934.
Seguirono sei anni di fibrillazione e attesa, con Luca Cor­dero di Montezemolo a fare da volto istituzionale alla macchina organizzatrice, in qualità di presidente del Comitato or­ga­nizzatore locale. Il calcio d’inizio avvenne l’8 giugno 1990, quando, dopo una cerimonia inaugurale rimasta nella mente di tutti, tra colori, canti e l’immagine unica della mascotte “Ciao” scelta per la manifestazione, il Camerun superò i campioni del mondo in carica dell’Argentina grazie a una rete di François Omam-Biyik. Uno sconosciuto aveva steso la na­zionale di Diego Armando Ma­radona, il più grande di quei tempi, e l’Italia si convinse davvero di potercela fare.
Anche la provincia di Cuneo visse quei mesi con palpitazione: il comitato locale, guidato da Ferruccio Dardanello, riuscì a ottenere il soggiorno della na­zionale del Costa Rica a Mon­dovì, cittadina strategica in quan­to a metà strada tra To­rino e Genova, le due sedi delle partite costaricensi. La Rivista IDEA dedicò alla manifestazione una copertina unica e un lun­go speciale con la descrizione di tutte le squadre partecipanti.
Fu il preludio a un mese intenso, con la squadra allenata da Azeglio Vicini che, trascinata dalle reti di Totò Schillaci, a­vanzò fino alla semifinale, trovandosi di fronte proprio l’Argentina. L’Italia restò in vantaggio per quasi tutta la partita grazie a un gol del siciliano e alla spinta del pubblico di Napoli, che fischiò l’inno ar­gentino, tradendo il suo “messia” Maradona, ma subì l’1-1 di Caniggia, complice un’uscita azzardata di Zenga. Attorno alle 22 del 3 luglio, si consumò il dramma sportivo di una ge­nerazione: ai rigori sbagliarono Donadoni e Serena e in finale ci andò proprio l’Ar­gentina, che sarebbe poi caduta contro la Germania, a Roma, trafitta da un rigore del terzino interista Brehme, in quello che per molti fu il più brutto ultimo atto della storia di una Coppa del mondo.
L’Italia chiuse terza, superando l’Inghilterra nella “finalina”, ma la vera sorpresa di quella manifestazione fu proprio il Costa Rica, che superò il girone eliminatorio e cadde solo agli ottavi di finale contro la Ce­coslovacchia, attirando su di sé l’affetto di Mondovì (ricambiato, visto che nel paese centroamericano c’è persino un monumento dedicato al monregalese!), della provincia di Cuneo e dell’Italia intera.