Il nostro viaggio nella sto­ria degli ultimi 35 anni, tra fatti di cronaca eclatanti e personaggi di primissimo piano, si chiude con il 2020, ovvero quello che può essere ri­battezzato come l’anno del co­­ronavirus. Quan­do il 31 dicembre 2019, al culmine di un estremo tentativo di contenimento della presenza del virus nella regione di Wuhan, le autorità della Cina in­formarono l’Organiz­zazione mon­­diale della sanità del fatto che nella città si fosse verificata una serie di casi di simil polmonite, nessuno si sarebbe immaginato che, in meno di novanta giorni, il mondo si sarebbe trovato di fronte a una terribile e aggressiva pandemia.
Un pipistrello? Un serpente? Un virus sfuggito da un laboratorio? Oppure il frutto di una strategia architettata a puntino da qualche sabotatore internazionale? Le prime settimane di convivenza “a distanza” con il Covid-19, così come è poi balzato agli onori della cronaca, trascorsero in un rimpallo di teorie (talvolta anche complottistiche) sulla ragione della diffusione di quel “nemico invisibile” ma molto pericoloso.
Dal 22 febbraio, invece, so­prattutto nel nostro Paese, molto è cambiato, con l’attenzione che è precipitata sul pia­no prettamente sanitario. È quello infatti il giorno in cui fu individuato il “paziente zero”: un uomo di mezza età, che aveva partecipato a una corsa non competitiva in Liguria, per poi fare ritorno nella sua abitazione di Codogno.
Il ragazzo si salverà, ma la diffusione del virus sarà inarrestabile: a fine febbraio i casi raggiungono già qualche decina, sempre a fine mese chiudono le scuole e l’area lombarda interessata dal contagio viene dichiarata “zona rossa”. Nel Cuneese, già a fine mese, si urla ai primi casi, poi smentiti dal secondo tampone, mentre a inizio marzo il contagio è, purtroppo, realtà.
Il 9 marzo è la data dell’entrata in vigore di un provvedimento cruciale: nella notte tra il 7 e l’8 il presidente del Consiglio Giu­­seppe Conte firma un de­creto (uno dei tanti “Dpcm”, mai stati così noti come in questi me­si) che impone il “lockdown” nazionale: tutta Italia è con­siderata zona rossa e la quotidianità, per milioni di italiani, cambia totalmente. Raccontare oggi le settimane suc­cessive a quell’annuncio in diretta televisiva è esercizio complesso e forse anche vano. Non siamo ancora nella fase del “senno del poi” e molto forse potrà ancora accadere. Di certo, l’Italia, che vive tra marzo e maggio confinata all’interno delle mura domestiche, è una nazione diversa, come non si era mai vista. È l’Italia dei canti sui balconi, delle dirette sui social network (in primis del suo Primo ministro), delle autorizzazioni per gli spostamenti, del calcio che non c’è più per la prima volta nel Dopoguerra, della scuola a distanza e dello smart working. #Andrà­tuttobene diventa un augurio che fa il giro del mondo, ma la realtà è ben diversa. A fare il giro di un mondo sempre più contagiato, infatti, sono anche le immagini dei camion dell’Esercito che, in quel di Bergamo, conducono in fila indiana e in religioso silenzio le salme dei molti deceduti presso le camere mortuarie. A Cuneo, nel frattempo, il contagio vive qualche picco, con zone che rischiano l’isolamento totale: è il caso di Marene, ad esempio, tra le prime a dover fron­teggiare una crescita esponenziale dei casi, con il sindaco Roberta Barbero che quotidianamente riassume attraverso un video la situazione nel paese. L’altro dramma è quello delle strutture per anziani.
Il 18 maggio è il primo “giorno dopo”, con l’abolizione del “lockdown” totale. L’Italia torna a re­spi­rare, benché protetta dalla ma­scherina, e si interroga sul “do­po”. Accanto al tema sanitario (che si spera possa essere sempre meno prioritario, fino all’individuazione del tanto agognato vaccino) ad essere centrale dovrà essere la questione economica. Ma questa è un’altra storia, speriamo rosea.