Professor Barbero, è in uscita un suo nuovo libro dedicato alla figura di Dante Alighieri: siccome c’è bisogno di grandi esempi, possiamo definirlo come il primo grande italiano?
«In realtà lui ha scritto un’opera sulla nostra lingua, il “De Vulgaris Eloquentia” senza però mai definirla “italiana”. Non ha mai usato questo termine, parlava di “volgare”… il nostro volgare per distinguerlo dal francese per esempio. Sì, all’epoca era chiara l’idea di Italia ma gli abitanti stessi si definivano “latini”. Quindi sarei riluttante a dire che Dante sia stato già un italiano, ma poi dovremmo definire meglio il concetto perché allora anche Federico II, nato a Jesi, potrebbe essere considerato un italiano… Certo, Inferno e Purgatorio di Dante sono pieni di tipici italiani, lui descrive uno spaccato di società, ma lo fa preoccupandosi di ricercare il concetto di umanità. Non altro».
Ai giovani piacciono molto le sue conferenze su Youtube, crede che apprezzeranno anche la biografia di Dante?
«Sono felice del successo online, ma non è qualcosa che ho cercato. Ho già 61 anni e non conosco esattamente le passioni giovanili attuali. Faccio fatica a pensare che possano entusiasmarsi per il mio libro, anche se chi è interessato alla storia deve sapere che qui trova un argomento molto interessante. C’è tanto da tirare fuori, il mio Dante si occupa di politica, della famiglia, di amori. Il poeta quasi non c’è, a me interessava mettere insieme le tante informazioni che abbiamo su questo personaggio. Un grande italiano? In questo senso sì».
Professore, perché ama così tanto il Medioevo?
«Forse principalmente perché è un’epoca in cui c’era un’estrema libertà d’espressione, nessuna ipocrisia. Noi oggi siamo più liberi? Nell’uso di certe parole no… Dante usa termini pesanti che non so quanto sarebbe facile oggi scrivere in un libro. Dante fa critiche all’ordine religioso, per esempio, senza porsi alcun problema e restando un credente. C’era indubbiamente più libertà di linguaggio e disinvoltura, nei gesti e nei rapporti interpersonali. Un re poteva sedersi a terra e parlare con persone normali. Certo, c’era anche più violenza e altre problematiche, ma il pensiero volava più libero».
È mai accaduto nella storia umana un evento della portata di questa epidemia Covid?
«Tutto il mondo nello stesso momento ne è stato travolto, senza avvisaglie, e questa è una novità assoluta. In passato le epidemie hanno causato tanti più morti ma non con questa modalità globale. E inaspettata».
Fino a poco tempo fa, il mondo ha sempre fatto i conti con guerre che ciclicamente hanno cambiato gli scenari. Quello che sta accadendo oggi con le conseguenze del virus, può essere paragonabile a una guerra?
«Ho già espresso questo concetto con termini simili prima dell’epidemia. Avevo detto che in Occidente almeno, erano anni che non si verificava un avvenimento di portata storica paragonabile a una guerra. Prima, se ci pensate, in poco tempo c’era stata la Prima Guerra Mondiale, la Rivoluzione russa e l’ascesa di Hitler… Invece negli ultimi anni non è più accaduto nulla di tanto sconvolgente. E neppure sono comparsi sulla scena personaggi epocali. Se dicessi per esempio che Obama ha cambiato l’America non ci crederebbe nessuno. La pandemia invece, per come la stiamo vivendo, è di nuovo un evento di portata storica. È quindi possibile che, come avvenuto in passato dopo ogni grande guerra, questa situazione possa portare a grandi cambiamenti sociali ed economici, preparando il campo a un nuovo futuro».
Ci riagganciamo al nostro Dante: sarà l’occasione per promuovere e vivere un nuovo Umanesimo?
«In realtà ogni epoca è caratterizzata dall’insoddisfazione degli uomini che la vivono. È qualcosa di insito nella natura umana. Era così già ai tempi di Giulio Cesare, per dire. Non sono sicuro che la nostra epoca sia peggiore di altre, che questo mondo sia da ripensare. Secondo alcuni oggi si vive benissimo, i conservatori ne sono convinti. Credo che se lo chiedessimo a Daniela Santachè o Flavio Briatore, ci risponderebbero che in questa realtà si vive al meglio. Altri invece sostengono che molte questioni andrebbero cambiate. Diciamo che una cosa dovrebbe essere ormai chiara, che non si può misurare tutto in termini di Pil o comunque con il denaro».
Un riferimento all’attualità e al suo lavoro: le scuole stanno per riaprire. La didattica a distanza in fase di emergenza è stata preziosa. È giusto utilizzarla ancora, considerando le incertezze legate alla diffusione del virus?
«Lo smartworking è servito, la tecnologia per fortuna c’è. Ha permesso alle scuole di concludere l’anno, di superare il peggio. Altrimenti sarebbe stato un fallimento generale. Quindi tutto bene, ma non deve essere la normalità. L’essere umano si adatta a tutto, ma la didattica non può essere virtuale».