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Adesso ha un nome chi salvò Marco Levi

Dopo 76 anni, scoperta l’identità della persona che informò il presidente della comunità israelitica di Mondovì circa l’arrivo dei nazisti

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• Riceviamo e volentieri pubblichiamo ampi stralci dell’interessante approfondimento cu­­­rato da Romolo Garavagno, che ha suscitato grande interesse nelle comunità coinvolte.

«Chi la dura, la vince». Nel­l’an­tico proverbio è contenuta una grande verità: tutto è possibile affidandosi a una ferrea volontà nel perseguire uno scopo. Sono trascorsi ben 76 anni da quando un sottufficiale della “Benemerita”, correndo un rischio personale grandissimo, ha favorito il salvataggio di Marco Levi, presidente della comunità israelitica di Mon­dovì. Mille volte questo industriale della ceramica aveva narrato alle scolaresche o nel corso di cerimonie e convegni sulla Resistenza, oltre i temi legati alla persecuzione degli ebrei, che una telefonata del co­mandante dei Reali Cara­bi­nieri di Pamparato gli aveva salvato la vita. Nell’ottobre del 1943 Levi si trovava ospite nell’osteria della Pace, a Pra di Ro­burent, una frazione che allora contava circa un migliaio di abitanti. Vi era giunto nei giorni successivi all’incendio di Bo­ves, quando erano iniziate anche in provincia di Cuneo le persecuzioni ai danni degli ebrei con la conseguente deportazione nei campi di sterminio. Basti, per le nostre zone, ricordare l’internamento iniziale a Borgo San Dalmazzo e poi l’avvio con i convogli ferroviari ad Auschwitz in cui la maggior dei deportati parte morì.

Una delazione, forse proveniente dalla Polizia urbana di Mondovì, aveva posto in allarme la Stazione Carabinieri Reali di Pamparato, da cui il comune di Roburent allora dipendeva. Il Comandante te­lefonò al titolare dell’osteria, Secondino Giovan­ni Roà, di­cendo: “Se vengo lì e trovo chi non deve esserci, finite tutti quanti in un campo di concentramento in Germania”. Que­­sta comunicazione, generosa e rischiosissima per il sottufficiale, consentì a Marco Levi di cercare un nuovo nascondiglio, individuato in un casolare di Campi Manere, al confine con il comune di Ormea, ove viveva una famiglia di carbonai, i Castagnino. L’uomo visse lì fino alla Liberazione, ac­colto con ogni possibile uma­nità, essendo la famiglia alquanto numerosa e disponendo di due soli locali per dormire: un camerone in cui si adattarono i familiari e una cameretta che venne destinata allo stesso Levi. I Castagnino si componevano del capo famiglia Gio­vani, del 1886, della moglie Maria Vinai e delle figlie: Giovanna e Caterina, all’epoca in età scolare, nonché di Maria, cui si aggiunse ancora Assunta, nata nei mesi successivi; vivevano assieme pure il fratello e la sorella di Giovanni.

Il fatto fu riferito all’infinito e riportato anche nel cortometraggio “Senza nulla chiedere”, del regista Carlo Turco e sceneggiato da Bruno Vallepiano, realizzato dal gruppo culturale “Savin”, nel 2014. Nessuno si è mai premurato di approfondire l’argomento, risalendo al coraggioso carabiniere, che non badò a recar danno alla propria carriera e vita, per salvarne un’altra, sulla scia dell’eroico Salvo d’Acquisto e di tanti altri colleghi, presenti an­che nelle nostre zone. Basti ricordare Gre­gorio Pietraperzia, che ope­rò a Roburent, tentando di salvare un gruppo di partigiani, insignito di medaglia d’oro al merito civile alla memoria, per iniziativa della Ammi­nistrazione comunale Val­lepiano. E Luigi Pal­­mieri, trucidato dai nazisti a Garessio, per evitare rappresaglie alla famiglia presso cui si era rifugiato durante la battaglia di Val­casotto. Dei Cara­binieri collegati con Mondovì, in quanto a servizi successivi alla Liberazione e distintisi nei terribili anni della Resistenza, in altre zo­ne, per difesa degli ebrei, si devono sempre menzionare i ma­re­scial­li Bassi, Comino, Gal­lareto. Invero, ci eravamo impegnati già una ventina di anni addietro o forse più, per risalire al Comandante in parola, mentre la Stazione dei Carabinieri, dal 1947, era stata trasferita a Roburent, poiché durante la battaglia di Val­ca­sotto, a metà del marzo 1944, la caserma di Pam­parato era stata incendiata. Ci eravamo rivolti localmente e anche al Comando generale dei Ca­rabinieri, quando era capo del gabinetto del comandante ge­nerale, il colonnello Casarsa, che fu comandante di Co­mpagnia a Mondovì. Ma non riuscimmo a risalire al nome del tanto “ricercato” sottufficiale. All’improv­viso un caso fortunato ci favorì. Una informazione ci è venuta da una personalità, cui va la nostra più sincera gratitudine. Si tratta del brigadiere Angelo Luigi Bran­ca, di Casellette, in provincia di Torino. Con l’altrettanto gra­­dito supporto pure degli uffici anagrafici di Torino e Pam­parato, abbiamo ricostruito la biografia di Branca (che è stato pure ricordato per atti storicamente importanti da vari scritti partigiani, tra cui Amedeo, Somano, Mauri) e dei suoi familiari, giungendo prima al figlio Giovanni Mario, quindi alla nipote, Emanuela Angela in Cicogna, residente nel capoluogo di regione. Si attendono, ora, risvolti ufficiali da parte degli enti pubblici».