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La Fondazione Crc e la mostra di William Kentridge, evento “cult” della Fiera del Tartufo

Nelle sue opere la forza e lo sguardo di un passato lontano che si misura con l’ambiguità della storia

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La novantesima edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba non si lascia fermare dagli avvenimenti di questo 2020, e anche quest’anno torna a profumare le colline di Langhe, Monferrato e Roero dal 10 ottobre all’8 dicembre, portando a 9 le settimane di apertura al pubblico della manifestazione.
La Fiera coglie l’occasione di ripartenza per dare inizio a un nuovo corso della propria natura, innovandosi nelle forme di dialogo con l’esterno senza stravolgere i propri concetti fondanti, grazie anche a nuove collaborazioni con realtà di importante rilievo come Microsoft Italia e Metropolitan Museum di New York. Il passato come scia di ricordi tra le sale di un museo immortale, il presente come celebrazione della vita assaporando una lamella di Tartufo Bianco d’Alba, il futuro come finestra tecnologica dentro cui sbirciare per capire come saremo. I tre tempi uniti per non lasciare indietro nulla mentre si cammina verso il futuro.
Il tema dell’edizione sarà “Il Mondo” per rappresentare il ruolo di ambasciatore e facilitatore di relazioni del Tartufo Bianco d’Alba. Nel corso dei 90 anni di storia della Fiera il Tuber magnatum Pico è arrivato sulle migliori tavole del mondo, e grazie anche ad un grande personaggio quale Giacomo Morra, è diventato uno dei prodotti iconici dell’alta gastronomia a livello mondiale.
Così come il Tartufo Bianco d’Alba aveva raggiunto i gourmet di tutto il mondo, così gli estimatori iniziarono ad arrivare ad Alba di anno in anno più numerosi e desiderosi di scoprire i segreti delle colline su cui nasce il fungo più prezioso al mondo.
Dal punto di vista culturale la capitale delle Langhe si prepara ad un evento culturale di grande richiamo.

La Fondazione Crc con il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenteranno ad Alba, presso la Chiesa di San Domenico la mostra William Kentridge, aperta al pubblico dal 21 settembre all’8 dicembre.
La mostra, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Direttrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, è stata sviluppata in stretta collaborazione con il grande artista sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) e offre al pubblico l’opportunità di ammirare le opere Shadow Procession (La processione delle ombre, 1999) e Breathe (Respirare, 2008).
Respirare, a conferma del progetto di collaborazione volto a promuovere nel territorio cuneese la conoscenza dei lavori artistici presentati dal Museo e offrire così al pubblico l’opportunità di ammirare opere come Breathe (Respirare, 2008) e Shadow Procession (La processione delle ombre, 2008) di William Kentridge.
In una contemporaneità in cui l’istinto di respirare è fisiologicamente anelato da pazienti affetti da un virus globale, sistematicamente negato a diverse minoranze ancora soffocate da segregazione e abusi ed ecologicamente compromesso da asfissianti politiche deforestanti, William Kentridge. Respirare ci invita a non trattenere più il fiato. La mostra è una vorticosa danza sinestetica in cui luce e suono, ombra e silenzio si compenetrano. Nel suo lavoro, dominato dal bianco e nero, le tecniche del disegno, dell’incisione, del collage e dell’animazione, si mescolano con altri interessi che l’artista ha saputo coltivare nel corso degli anni, primo fra tutti il teatro. I temi delle sue opere sono la società e le sue ingiustizie o la sua memoria storica, affrontate spesso con una vena ironica.
Elisa Del Prete che ha curato ua monografia completa sottolinea nell’opera a lui dedicata: “Le sue animazioni in stop motion nascono da un processo unico che parte del disegno in bianco e nero, a carboncino o pastello, e prosegue in un’ossessiva cancellazione e ricostruzione che delinea un mondo fatto di ombre, slittamenti, metamorfosi, fraintendimenti continui che sono metafora dell’indefinibile complessità del contesto geo-politico in cui vive, come del mondo in generale.
Ma se è vero che Kentridge è portavoce di un cambiamento epocale della storia, è anche vero che tutto il suo lavoro non si risolve mai in una presa di posizione univoca ma anzi si districa nella continua messa in discussione di “identità” e “verità”. Ed è per questo che il suo lavoro continua ancora ad affascinare, a mantenere la forza di continuare a porre domande.
Se i temi che porta nel suo lavoro gridano un’urgenza collettiva, il suo è in realtà un percorso a ritroso di soggettivazione, un cammino lento e ancora in atto dal fuori al dentro, la messa in scena di una memoria prima di tutto personale e dei modi in cui essa si deposita e dissolve, un incontrare il mondo a metà strada per farlo a pezzi e ricomporlo. Il suo lavoro è un esercizio di consapevolezza e un ammonimento dello sguardo, ma al tempo stesso è una pratica quotidiana in studio, un giocare al mettere in ordine la vita con la consapevolezza taciuta che non ci saranno vincitori”.