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«Il podio? Un sogno inseguito e realizzato»

Sul circuito di Aragon, Michael Ruben Rinaldi ha dato concretezza agli impegni e alle fatiche del team cheraschese Go Eleven

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Sul circuito di Aragon Michael Ruben Rinaldi ha dominato, regalando a se stesso e al suo team Go Eleven, il piacere di una vittoria meritata.

Ruben si è avverato un sogno. Quale la sensazione quando ti sei reso conto che stavi per realizzare un desiderio sperato quanto inatteso?
«La vittoria mi ha regalato davvero un sogno. In verità già da venerdì ho capito di essere veloce. Così ho affinato la mia strategia cercando di mettermi davanti, rimanendo sempre concentrato sulla guida e spingendo al massimo. La mia gara è stata pressochè perfetta anche grazie alle gomme morbide. Non pensavo di riuscire a dare così tanti secondi al resto del gruppo, però all’ultimo giro, quando ho capito che avrei vinto, ho davvero compreso che sono utili tanti sacrifici per ottenere grandi soddisfazioni. Come l’emozione e la gioia che sono diventate incontenibili…».

Corri per un team privato, Go Eleven. Credi che questo sia un valore aggiunto?
«Certo, assolutamente. Essere riuscito a vincere con questo team che per me è diventato una seconda famiglia, è una gioia speciale che non capitava da anni, e soprattutto non in sella ad una Ducati. Per questo devo ringraziare Gianni Ramello e suoi ragazzi…».

Quali sono i punti di forza e quali i limiti del team Go Eleven?
«Natauralmente la nostra forza è la passione, valore che non è sempre facile da trovare in questo ambiente. Con i ragazzi c’è assoluto feeling, equilibrio… Doti che per me caratterialmente sono fondamentali per riuscire a lavorare, andare forte, ma anche trovare soluzioni quando le cose non girano al 100%. Dal punto di vista tecnico vi è grande professionalità e qualità, requisiti che fanno la differenza. Sui difetti, beh… i team privati hanno limiti di budget che sui test fanno la differenza, però questo ci accomuna ad altre realtà. La forza, ho imparato, è saper guardare oltre…».

Sei giovanissimo e pieno di talento. Quando hai capito che la moto sarebbe stata la tua vita?
«L’ho capito sin da bambino. Guidarla mi rendeva libero, felice e quella sensazione è difficile da accantonare… Crescendo ho capito che si tratta di una passione costosa, ma soprattutto ho compreso che questo amore poteva diventare anche la mia professione. Altrimenti avrei dovuto accantonarla e dedicarmi ad un mestiere in grado di sostenermi economicamente…».

Hai un mito, un pilota che rappresenta per te fonte di ispirazione?
«Un mito è sempre stato Valentino Rossi. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e anche allenarmi al “Rance”. Altro grande campione Andrea Dovizioso con il quale sono amico da quando sono entrato in Ducati. Con lui ci scambiamo messaggi, ci alleniamo ed è per me fonte di ispirazione. È un campione che mi ha insegnato a guardare le cose da un’altra prospettiva, permettendomi di imparare sempre…».

Il Coronavirus ha modificato un po’ i ritmi di allenamento e la pressione emotiva nelle gare?
«Eccome. La pressione e l’adrenalina nelle gare sono sempre alle stelle. Però la mancanza di pubblico e meno addetti ai lavori rendono la competizione meno coinvolgente, forse anche meno entusiasmante…».

Parlaci della tua moto. Cosa pensi si possa ancora migliorare?
«È un mezzo potente, di buon livello e competi­­ti­­vo. Ci sono alcuni particolari ancora miglio­rabili, ma questo è normale e necassario perchè la moto deve essere settata in funzione della pista dove corre. Adesso andiamo a Barcellona e io come pilota e la moto, anche su questo tracciato dobbiamo trovato sintonia, equilibrio nell’assetto… È una buona moto e abbiamo visto che può vincere!».

C’è un sogno, un altro desiderio che vorresti si avverasse in questo 2020?
«Indubbiamente c’è… Ma non lo dico, sennò non si avvera!».