Gentile allegro chirurgo, ho piacere di raccontarle la mia condizione di marito con il piede in due scarpe. Una storia banale, forse, ma non è detto, perché se le premesse non sono troppo originali (sposato da otto anni con una donna più giovane di sei anni, con un figlio che inizia la seconda elementare e con un’amante fissa da cinque), il seguito lo è di più. O almeno così a me pare. La relazione fuori dal matrimonio non l’ho cercata, ma nemmeno evitata. Ho conosciuto questa donna, più grande di me di tre anni: ci siamo piaciuti subito e ho lasciato che succedesse.
Lei era disponibile a iniziare una relazione clandestina e me l’ha fatto capire, io ero attratto da lei e dal suo mondo molto diverso dal mio e gliel’ho fatto capire, dicendole però da subito che mai e poi mai, né allora né in futuro, avrei lasciato la mia famiglia per costruirne una con lei. Non la consideravo, né la considero, un semplice diversivo, però per me il nostro rapporto rappresenta un rapporto importante, vivo e gratificante, da affiancare alla mia vita ufficiale. Lei ha accettato da subito e senza batter ciglio la mia richiesta e da allora non ci sono mai stati problemi. Da cinque anni ci vediamo regolarmente. Io lavoro lontano da casa, nello stesso paese in cui lei abita per cui capita di vedersi spesso, quasi come fossimo una coppia. Succede sovente, per esempio, che passi a fare la spesa prima di andare a casa sua, per poi far pranzo insieme, raccontarci la mattinata di lavoro e tornare ognuno alle proprie occupazioni.
Tutto perfetto, dirà lei. Non proprio, perché non riesco ad accettare che alla mia amante vada bene così, che non mi abbia mai chiesto nulla della mia vita di coppia, non abbia manifestato mai nemmeno la minima curiosità riguardo a quel che faccio quando non sono con lei. Mi pare impossibile che una persona interessata a tutto come lei possa accettare di essere del tutto esclusa dalla vita “normale” della persona che, per quanto ne so, è l’unica con cui ha un legame sentimentale.
Lettera firmata (Asti)