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«Io, cebano Doc in Champions League»

L’incredibile vicenda di Pier Francesco Figone, chiamato dalla più importante squadra di San Marino per disputare una partita internazionale

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Immaginate di avere poco più di vent’anni e una passione per il calcio che vi porta ogni domenica a giocare sui campi di Eccellenza, pur sapendo che quello del pallone potrà essere per voi solo un divertimento da affiancare a un lavoro “vero”, indispensabile per programmare un futuro stabile. Pensate se, quasi all’improvviso e con pochi giorni per decidere, vi arrivasse la chiamata di una squadra di San Marino, pronta a darvi una maglia per scendere in campo in Champions League, cosa che vi permetterebbe di realizzare uno dei vostri più grandi sogni. Che fareste? Pier Fran­cesco Figone, professione centrocampista e cebano Doc, come tradisce in modo chiaro il suo accento monregalese, non ha avuto dubbi, quando lo scorso luglio ha accettato la chiamata del Tre Fiori, squadra campione di San Marino in carica, pronta a disputare i preliminari della massima competizione europea per club.

13 luglio 2020. Squilla il telefono e arriva la proposta del Tre Fiori per giocare in Champions League. Cosa ha pensato?
«È stata una chiamata im­prov­visa. Mi sono laureato a giugno in management dello sport e nemmeno il tempo di metabolizzare la fine del percorso di studi che è arrivato questo regalo. Ci ho pensato su qualche ora, poi, anche grazie all’avvallo della mia famiglia, ho scelto di provarci».

Ma come sono arrivati a lei?
«È un giro strano, il classico caso della vita. Un amico di mio papà conosce un collaboratore sportivo, che lavora per un’agenzia di procuratori, la Bsm. È stato lui a fare il mio nome e da lì è partito tutto: mi hanno proposto di aggregarmi alla squadra che stava preparando la nuova stagione e ho accettato».

Il tutto, però, senza avere la certezza del fatto che avrebbe giocato. È così?
«All’inizio eravamo in tanti in prova, però mi sentivo davvero bene fisicamente. Ho fatto una buona impressione, mi hanno confermato e sono stato convocato per i preliminari, che abbiamo disputato contro i nordirlandesi del Linfield, l’8 agosto».

Che emozione ha provato?
«Molto bella, sia per lo scenario (l’incontro si è giocato a Nyon, ndr) che per l’importanza dell’incontro. Purtroppo, abbiamo per­so 2-0, ma gli avversari erano forti. Per quanto mi riguarda, onestamente, speravo di giocare dall’inizio, invece sono subentrato a gara in corso. È stato comunque molto affascinante, anche se il “bello” sarebbe arrivato anche successivamente».

Il 18 settembre, infatti, è arrivata la conferma in squadra anche per la gara di Europa League contro i lettoni del Riga.
«Inizialmente, avevo stipulato un contratto per la singola partita di Champions League, ma la società si è convinta e ho rinnovato per tutta la stagione. La gara in Lettonia è stata ancora più bella, sia perché ho giocato tutti i novanta minuti sia perché l’avversario che abbiamo affrontato era tutt’altro che “scarso”».

Ma il calcio nell’Est Europa non è poco più che amatoriale?
«Macché (ride, ndr)! La rosa del Riga ha un valore complessivo di circa 8 milioni di euro e giocatori professionisti a tutti gli effetti, paragonabili per qualità a quelli della nostra Serie B, almeno. È stato interessante confrontarsi con loro e, se ci avessero concesso un rigore su una situazione dubbia, forse avremmo anche potuto fare l’impresa».

Questa partita ha fatto scalpore anche per un fatto insolito. Ce lo vuole raccontare?
«Pazzesco. La sfida è iniziata alle 19 del 17 settembre ma, dopo dieci minuti di gioco, nonostante l’impianto sportivo che ci ospitava fosse ottimo, è esploso un riflettore. La gara è comunque proseguita per venti minuti, prima che l’arbitro decidesse di interromperla definitivamente per ragioni di sicurezza. Pen­savamo già di dover ritornare giorni dopo e invece alle 23 della sera stessa è arrivata la decisione da parte della Uefa di farci giocare alle 10 del mattino seguente. Una situazione che non avevo mai vissuto in vita mia!».

Ora che lo ha visto da vicino, com’è il pallone sammarinese?
«A San Marino ci sono due o tre squadre che giocano un calcio di buon livello. Con me in squadra, ad esempio, ci sono i gemelli Si­mon­cini: hanno sempre giocato in zona, ma con la nazionale hanno disputato decine di partite internazionali, acquisendo grande esperienza. Insomma, anche qui c’è molto da imparare».

Lei si vede impegnato per qualche anno sui campi di San Marino?
«Onestamente non credo di poter vivere facendo il calciatore tra Eccellenza e Serie D. Con il Tre Fiori ho firmato un contratto annuale ma c’è una clausola: mi sono riservato la possibilità di decidere a dicembre se proseguire o meno, perché nel frattempo ho fatto domanda per poter insegnare a scuola, essendo dottore in scienze motorie. E poi su c’è anche la mia fidanzata, che non vedo da un po’ di tempo…».

Comunque vada, Pier Francesco Figone potrà sempre dire e raccontare ai posteri di aver giocato in Champions League. Ma ci dica: a chi ha pensato quando è sceso in campo nella notte europea dell’8 agosto?
«Alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto e che ha approvato la mia scelta di vivere quest’esperienza. Non posso che ringraziare mio papà. Sin da quando ero un bambino, mi ha sempre accompagnato al campo e mi ha dato consigli per crescere come calciatore e come uomo. Ora che ho raggiunto questo traguardo, piccolo per i più ma grande per noi, è giusto che questa gioia sia condivisa con lui, mia mamma e mia sorella».