I quattro accusati dell’assassinio barbaro di Willy, ucciso a botte, senza pietà, a ventun’anni, consegnavano, come tanti giovani, ai social schegge di vita. Dorata, la loro. Lussuosa. Esagerata. Barche in mezzo all’azzurro, champagne, località e locali di tendenza, auto con autista, abiti griffati, suv, ristoranti e resort d’alto bordo. Testimonianze sfacciate d’un tenore elevatissimo, beffardo e mortificante se si pensa che tutti usufruivano del reddito di cittadinanza. Uno sberleffo per lo Stato, truffato, e per chi lavora duro per sbarcare il lunario: Willy, morto per mano loro, faceva notte nella cucina d’un ristorante per costruirsi dignitosamente un futuro, non prendeva soldi pubblici ma li guadagnava con sudore e sacrificio, mentre loro, gli assassini, s’inebriavano di prepotenza e d’arroganza, scatenando risse ma anche rubando denaro al Paese, spacciandosi per indigenti essendo invece nababbi. Denunciati. Privati del diritto. Obbligati a restituire le somme percepite ingiustamente. Loro a dire il vero negano di ricevere il sussidio, ma a confermare la notizia provvede la Guardia di Finanza che ha certificato in 33mila euro la cifra che i quattro del branco avrebbero percepito indebitamente. Ora bisognerà capire la provenienza dei soldi, e sarà interessante perché la sensazione è che dietro possa nascondersi illegalità, stile di vita abituale secondo i racconti di chi ha subìto i soprusi e violenza e intimidazioni per anni, tacendo solo per paura.
La scoperta del diritto al reddito di cittadinanza ha naturalmente fatto gridare allo scandalo, hanno suscitato sdegno le immagini stridenti scattate a Palma di Maiorca o sulla Costiera amalfitana. E molti cittadini, ma anche politici, se la sono presa con il sussidio e con il Movimento che l’ha istituito. Non entriamo nel merito con la nostra opinione, non crediamo interessi e comunque è estranea al contesto, in assoluto riteniamo che il problema non sia in una mano tesa ma nella truffa, nell’imbroglio, nella furbizia malefica di chi l’afferra senza averne bisogno. E siccome sono tanti, ché a parte il caso estremo l’Italia è per tradizione Paese di furbetti, sarebbe bene intensificare i controlli. A volte basta poco, nel caso specifico un’occhiata fugace ai social: due o tre foto e già qualcosa non torna, ché un resort da 250 euro a notte non può apparentarsi con il reddito di cittadinanza o con lo stato di disoccupazione. Allora non prendiamocela “con il reddito di delinquenza” ed evitiamo comparazioni del tipo “reddito ai mafiosi e nessun aiuto a commercianti, artigiani, partite iva in ginocchio” per usare le frasi di politici intervenuti nel dibattito. C’è chi, tra questi, ha definito il reddito di cittadinanza “un’umiliazione per chi è in difficoltà, per chi paga le tasse, per chi ha penato per i bonus Covid. Per la famiglia di Willy, soprattutto, un giovane generoso e onesto”. Concorderemmo se accanto a “reddito di cittadinanza” fosse stato aggiunto “usurpato” o “rubato”. Perché i diritti li rispettiamo tutti, mentre condanniamo gli imbrogli attorno a essi, le condotte irrispettose della legge. E il branco della legge aveva spregio. Purtroppo non è stato fermato, altrimenti ora Willy sorriderebbe ancora.
Più controlli, non meno aiuti
La scoperta del fatto che I quattro accusati dell’assassinio barbaro di Willy usufruissero del reddito di cittadinanza ha fatto gridare allo scandalo. Occorre fare tutte le verifiche (anche tramite social) possibili per evitare casi del genere.