Saluzzo celebra i cento anni dalla nascita di un suo cittadino illustre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nato il 27 settembre del 1920: in piazza Garibaldi sarà inaugurato un monumento alla sua memoria.
Rita Dalla Chiesa, suo padre trascorse pochi anni d’infanzia a Saluzzo. Ci racconta il legame con la città?
«La nostra famiglia in realtà è di Parma. Ma anche il nonno era generale dei Carabinieri, di stanza in Piemonte quando nacquero mio padre e il fratello. Personalmente, non sono mai stata a Saluzzo. Però il legame è da sempre molto forte, ho tanti ricordi che mi fanno pensare soprattutto alla nostra balia che era appunto saluzzese e ci parlava del suo paese. Ricordo bene l’articolo che ci mandarono, uscito sul Corriere di Saluzzo, quando lei purtroppo è mancata. Io ho vissuto tanti anni a Torino, dove papà era ufficiale dei Carabinieri. Anni di gioia e dolore, perché lì è morta mia mamma. Abitavamo in caserma, entravamo dall’ingresso di Via Valfré e non da quello principale di Via Pietro Micca, una quotidianità che fa ancora parte dei miei ricordi in una città molto bella».
Sarà presente all’inaugurazione del monumento?
«Non potrò esserci, ma da Saluzzo ho sempre avuto manifestazioni d’affetto incredibili. Ad esempio la petizione per l’emissione di un nuovo francobollo in omaggio a papà. Ma anche altre iniziative, piene di significato. E per questo provo un senso di profonda gratitudine. Del resto, dalle celebrazioni per il centenario mi aspetto proprio questo: poter diffondere un senso di allegria e serenità. Sono i sentimenti che ho cercato di trasmettere anche con il mio libro, “Il mio valzer con papà”, dove volutamente non ho parlato di Palermo. Il ricordo che ho di papà me lo fa sentire vicino, ancora vivo, in un clima di amore ricambiato e condiviso».
Nell’immaginario collettivo, la figura di suo padre è quella che esprime al meglio il ruolo dei carabinieri e dell’istituzione. È d’accordo?
«Certo, lo vedo ogni volta in mille manifestazioni d’affetto da parte delle persone oppure per iniziative come quella di Saluzzo. Al nord più che al sud, devo dire. La gente se lo ricorda. I miei ricordi ovviamente sono più legati alla figura del papà che a quella del generale, anche se si sovrappongono. Per la gente credo che l’immagine dei carabinieri sia rimasta la stessa che in qualche modo papà interpretava, quella di un’istituzione in cui credere, di cui fidarsi. Nonostante alcuni casi isolati e molto sgradevoli, resta il rispetto per una divisa speciale».
Da bambina ha condiviso questa missione?
«Una vita vissuta in caserma, io e i miei fratelli. Sono infatti nata a Casoria, provincia di Napoli, perché è in quella caserma che papà prestava servizio. Ancora oggi, quando entro in una caserma mi sento a casa. Solo qualche giorno fa, per esempio, a Roma, sono passata al Comando di piazza Venezia mentre molto spesso faccio visita agli amici della stazione di Ponte Milvio. E recentemente sono stata al matrimonio del capitano Averna, nipote del giudice Chinnici».
A proposito, a distanza di tanto tempo: che cosa resta dell’attentato che costò la vita a Carlo Alberto Dalla Chiesa?
«Quando mi rivolgono questa domanda, rispondo sempre che mio padre andrebbe in realtà ricordato per aver combattuto in città come Torino, Genova e Milano liberandole dal terrorismo, rendendole vivibili dopo gli anni di piombo. Questa è la cosa più importante. A Palermo invece papà era appena tornato (ci era stato da giovane), quando fu ucciso. Anche se ovviamente il suo nome viene associato alla lotta contro la mafia. Quell’evento però ha oscurato il suo grande lavoro svolto negli anni precedenti».
Possiamo dire che i riscontri sono arrivati più dalla gente che dallo stato?
«Sicuramente sono quelle le testimonianze che hanno maggiore valore».
Come sta andando il suo libro?
«Molto bene e ne sono felice perché i proventi delle vendite sono destinati agli orfani dei carabinieri».
Ultima nota: un tweet significativo pubblicato da Rita Dalla Chiesa dopo questa intervista.
«Più vedo in tv e nella mia memoria volti di grandi uomini che non ci sono più, uccisi dai misteri di una politica collusa e feroce, più mi chiedo come sia riuscita a passare indenne attraverso tanto dolore. E a continuare a sperare».