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Lo street artist al servizio del sociale

Banksy rappresenta il più grande artista globale del nuovo millennio, uno dei più grandi casi di popolarità dai tempi di Andy Warhol

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È diventato più famoso di Andy Warhol (in grande misura grazie al fatto che vuole restare anonimo). Ed è anche uno degli artisti più politicizzati: un ribelle che dice di lottare contro il sistema, in ogni sua manifestazione, anche se inevitabilmente lui stesso finisce per farne parte. Ma le contraddizioni sono il motivo del successo di Banksy (nome d’arte dello “street artist” inglese) protagonista della sfida, negli ultimi tempi, nel Mediterraneo. Sfida intrapresa con la nave Louise Michel, nome assegnato in onore dell’anarchica femminista francese, finanziata con i suoi soldi per soccorrere migranti in difficoltà. Lo scafo è bianco e rosa brillante ed è decorato con una sua opera d’arte che raffigura una bambina con un giubbotto di salvataggio la quale sostiene un salvagente a forma di cuore. Sfida che lo ha fatto conoscere, tra approvazioni e contestazioni, anche al grande pubblico. Su chi sia Banksy si discute da anni: si suppone da vari indizi che sia nato a Bristol, la città portuale nell’ovest dell’Inghilterra, qualcuno dice di sapere anche il suo anno di nascita, il 1947. Un’inchiesta del 2008 del Mail on Sunday afferma di averlo identificato: il suo vero nome sarebbe Robin Gunningham; altri ritengono che sia in realtà il musicista e graffitista Robert Del Naja della rock band Massive Attack, altri ancora affermano che sia una donna oppure un collettivo di sei artisti riuniti sotto il suo nome o un personaggio semi noto venuto alla ribalta negli ultimi tempi. Più facile tracciare un breve profilo di questo “fenomeno” artistico partito alla fine degli anni ottanta dalla crew “Bristol’s DryBreadZ” (DBZ), firmandosi Kato e Tes. Nel 1998 organizzò l’enorme raduno di graffitari Walls On Fire, insieme all’amico di Bristol e leggenda dei graffiti Inkie. Il lungo weekend di eventi, richiamò artisti da tutto il Regno Unito e da tutt’Europa e quest’organizzazione dell’happening pose il suo nome nello starsystem europeo dei graffiti. Banksy si afferma però con gli stencil (maschere create al fine di ricavare un profilo o una decorazione su una superficie in serie) che sono caratterizzati da immagini singolari ed umoristiche, a volte accompagnate da slogan. Il messaggio di solito è contro la guerra, anti-capitalistico (anche se pare sia ricchissimo), anti-istituzionale e a favore della pace. I soggetti sono animali come scimmie e ratti, ma anche poliziotti, soldati, bambini e anziani. Ha anche creato adesivi e sculture, come la famosa Cabina telefonica assassinata passando da Love is in the Air a Girl with Balloon, da Queen Vic a Napalm e da Toxic Mary a HMV, dalle stampe realizzate per Barely Legal (una delle più note mostre realizzate) ai progetti discografici per le copertine di vinili e cd. E poi ai lavori rimasti sui muri perlopiù scrostati delle città simbolo che entrano nelle sue opere: Bristol, Londra, New York, Gerusalemme, Venezia. Ma chi volesse approfondire personaggio e tematiche potrebbe sfruttare un weekend per visitare Roma e recarsi al Chiostro del Bramante: qui lo spazio cinquecentesco ospita, fino all’11 aprile 2021, l’ampia rassegna Banksy a visual protest . Una mostra posticipata a causa dell’emergenza sanitaria la quale, attraverso un percorso di oltre 100 opere che raccontano nel dettaglio la ricerca dello street artist anche con l’aiuto di videoinstallazioni, spiega la sua invisibilità, la scelta di distruggere le icone pop, le collaborazioni con gli altri artisti, l’impegno senza bandiere politiche e comprende anche più di 20 progetti per copertine di dischi e libri, coprendo un arco temporale che va dal 2001 al 2017. Tutte le opere provengono da collezioni private poiché Banksy, normalmente, rifiuta il proprio apporto alle esposizioni. Ma non le osteggia.