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«Nel calcio di oggi gli stessi errori della politica»

Sandro Piccinini: «ma chi urla non va più di moda» L’ex telecronista Mediaset è opinionista a “Sky Calcio Club”: «Un successo già alla prima serata. Gli ascolti premiano l’approfondimento e le trasmissioni dove il dibattito è più garbato. Stadi da riaprire? Servirebbe uno studio dettagliato»

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L’ultima «sciabolata» gli ha aperto le porte di “Sky Calcio Club”, il salotto esclusivo dove lo sport più amato in Italia recupera la sua dimensione più tecnica. Sandro Pic­cinini è l’opinionista che affianca i “talent”, la voce resa celebre dalle telecronache Me­dia­set che si confronta con l’ex allievo Caressa.

Piccinini, si aspettava di tornare in tv con questo ruolo?

«Ricevere la proposta da Sky mi ha fatto molto piacere. Ero fermo per scelta da due anni, un’enormità per questo am­biente, pronto anche ad af­frontare l’eventualità di restare fuori. Avevo bisogno di fermarmi dopo 18 anni di attività e anche perché Sky aveva ap­pena preso i di­ritti Cham­pions mentre Me­dia­set non li ave­va più. Ma il direttore Federico Ferri ha usato parole molto convincenti e poi Fabio Caressa è un ami­co. Si tratta di una nuova sfida per me».

Da opinionista, come vede questo nuovo campionato?
«È ancora indecifrabile, fin qui è stato condizionato dal mer­cato e da tutti i problemi che sappiamo. La Juventus domina da nove anni, vediamo se ci sono i presupposti per le rivali. Il Napoli affascina, l’Inter ha qualità. Gli effetti della crisi da Covid sono ancora da valutare».

Come è cambiato il racconto del calcio in questi anni?
«Per quanto riguarda le trasmissioni, abbiamo visto che le tv generaliste hanno perso terreno, le reti non credono più in certi talk-show. Anche nuovi progetti, come quello di Chiambretti, sono relegati in orari notturni. La partita invece funziona sempre. Sky con il “Club” ha riempito un vuoto puntando sull’approfondimento tecnico ma in maniera credibile».

Quanto e come sono cambiate le telecronache?

«Molto, c’è un nuovo linguaggio e Sky in questo ha dato un contributo importante lanciando tantissimi telecronisti, tutti molto preparati. Alcuni di loro, posso dirlo, sono stati miei allievi. Come lo stesso Fabio Caressa, oppure Mas­simo Marianella. C’è stata una scuola romana dopo la tradizione della Rai e quel filone ha portato ad alzare il livello. Qualcuno magari ha rischiato di strafare, ma in generale sono nati nuovi telecronisti preparatissimi. Senza nulla togliere, prima in Rai non c’era questa attenzione».

Suo padre era calciatore e giocò anche nella Juventus. Che cosa ha conservato di questa eredità?

«Tanti bei ricordi, foto straordinarie. Io sono nato quando lui aveva già smesso di giocare e purtroppo è mancato quando avevo 14 anni. Torino però mi è rimasta nel cuore, una città dove sono tornato tante volte. Spesso pro­prio perché ac­com­pa­gnavo papà a trovare gli amici. Tra questi, aveva un legame particolare con Boniperti. L’eredità maggiore era nella determinazione che avevo nel voler diventare calciatore come lui, poi ho dovuto prendere atto che non ci sarei riuscito. E allora mi tengo i ricordi e le amicizie, gli anni più belli passati a Torino».

Conosce anche le Langhe?

«Luoghi meravigliosi, certo. Ci ritorno spesso, appena posso, per fare visita al mio ristorante preferito, la Locanda del Pilone ad Alba».

Come immagina l’uscita del calcio e di tutti noi dalla situazione che si è creata con il Covid?
«Ci vorrà tempo. Ora stiamo imparando a convivere con gli effetti dell’epidemia e mi ha colpito, passeggiando a Mi­lano, osservare come quasi tutte le persone indossassero la mascherina anche in luoghi aperti. Le nostre abitudini stanno cambiando, i viaggi, soprattutto in aereo, sono condizionati da questa realtà. Spero che, in generale, sia una grande lezione per tutti i politici (non solo quelli di casa nostra), perché una volta di più abbiamo visto quanto sia importante puntare sulla prevenzione. Invece succede sempre che si arriva all’evento impreparati, si piangono le vittime. E non si impara mai».

L’epidemia da coronavirus, pe­rò, è stata un evento inatteso. O no?

«Non è così. Era prevista, preventivabile. Se ne parlava già da tempo. Prepararsi in anticipo sarebbe servito per avere più posti nelle terapie intensive e magari per preparare in anticipo l’uso delle mascherine. Così come adesso, grazie all’esperienza diretta, saremmo in grado di gestire meglio un’even­tuale seconda fase. Ma è qui che mi ricollego al ruolo della politica. Non abbiamo mai sentito un politico dire, in tempi non sospetti, “aumentiamo i posti in terapia intensiva” oppure anche “sistemiamo gli argini dei fiumi”… Solo e sempre “via il bollo dell’auto, via questa tassa…”, senza alcuna visione per il futuro».

A proposito di futuro, gli stadi devono essere riaperti?

«Anche qui, manca un metodo. Non c’è stato uno studio approfondito della situazione, ci si ferma davanti al problema di dover prendere una decisione popolare o impopolare. Non si ragiona mai in prospettiva, neanche in questo caso e neanche nel calcio, ci si limita a vivere alla giornata. Torniamo ai discorsi sulla politica…».

Si è detto spesso che, in qualche modo, dalla crisi del coronavirus potrebbe nascere una società più consapevole. Che ne pensa?
«Che non sono ottimista. In Italia siamo utilitaristi. Come dicevo, facciamo fatica a ragionare sul domani. La vedo dura».

Torniamo al calcio in tv: Sky propone, con la formula del “Club” in particolare, una linea che si contrappone a quella di un dibattito calcistico urlato, molto popolare su altri schermi.
«Ma queste ultime in realtà sono trasmissioni che non vanno più per la maggiore. E questo perché non fanno più ascolti. “Sky Calcio Club” ha registrato 800 mila spettatori alla prima stagionale, un grande risultato se consideriamo che si tratta di una “pay tv”».

Non stiamo parlando quindi di uno stile apprezzato solo da una nicchia di spettatori, da un’élite?

«Credo di no, perché come dicevo, gli ascolti premiano queste scelte. Per le discussioni e le litigate ci sono già i talk-show. Ma si tratta di una formula che ormai ha stancato, inaugurata 25 anni fa da Maurizio Co­stanzo. Oggi le esplosioni d’ira “alla Sgarbi” fanno un po’ tristezza. E, comunque, ci sono già i social network a fare da cassa di risonanza per certi sfoghi. Ma la gente dimostra di preferire il confronto garbato: non a caso una trasmissione che registra ogni sera due milioni di spettatori è “Otto e mezzo” di Lilli Gruber, realizzata tra l’altro con costi ridottissimi. Vincono i contenuti».

BaNNER
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