La passione per il nostro territorio può portare a ricercare, viaggio dopo viaggio, tutte le storie possibili nascoste tra le colline e magari anche a scriverne di nuove. È quello che è successo a Suzanne Hoffman, avvocatessa e scrittrice nata a New Orleans, che dopo una prima visita in Piemonte negli anni ’90, stregata dall’accoglienza e dai nostri vini, ci è tornata così spesso da considerarla una seconda casa. Nel 2016 è uscito il suo libro “Labor of love-Wine family women of Piemonte” dedicato alle donne delle famiglie del vino piemontesi. Ventidue famiglie vengono raccontate attraverso le fotografie, le parole e le vite delle figure femminili che le hanno viste crescere. La passione per i dettagli della scrittrice porta il lettore dentro le vigne, a camminare tra le botti di rovere e a farsi strada negli intrecci dei complessi rapporti famigliari.
Susanne, perché proprio alle donne è dedicata la sua opera?
«Durante i miei viaggi mi avevano raccontato tantissime storie e ascoltandole mi sono resa conto che proprio le donne erano le custodi delle tradizioni. Le donne hanno retto per secoli le sorti delle famiglie del vino piemontesi, lavorando nelle vigne, accudendo le famiglie ma anche influenzando gli acquisti di case e terreni senza mai risparmiarsi. Sono state il vero cardine che ha permesso a questo territorio di svilupparsi nel mondo eccezionale che conosciamo. Mi sembrava fosse ora di ascoltare le loro storie, dalla loro stessa voce».
Come ha scelto le ventidue famiglie per le sue interviste?
«Ho preferito non fermarmi ai “grandi” nomi ma sono andata a cercare anche famiglie più riservate dove donne e nonne sapienti avessero avventure, segreti o semplicemente ricordi imperdibili da raccontarmi».
Ci sono dettagli che l’hanno colpita più di altri?
«Certo, quelli della guerra, soprattutto. Esiste una sorta di pudore, mi pare, nel raccontare quel periodo in Piemonte, è comprensibile, si tratta di ricordi che toccano nel profondo chi parla e chi ascolta. Tuttavia credo che sia importante, per i giovani soprattutto, vincere questa timidezza e chiedere a chi ha memoria di eventi felici, eccezionali o anche tragici, di farcene parte. Conoscerli è importante per capire chi siamo. Nei miei libri cerco di dare voce alle storie non ancora raccontate».
Si può dire che nel mondo del vino il femminile è diverso dal maschile?
«Non direi. Vediamo il mondo (e quindi il vino) in modo differente, ma dalle parole di tutte le donne intervistate emerge un’immensa gratitudine per i padri, i mariti e fratelli che hanno dato loro supporto, appoggio e fiducia. Non vedo differenze tra uomini e donne, forse dovremmo smettere di cercarle».
Adesso sta lavorando a un nuovo libro, un romanzo questa volta, ci può dare qualche anticipazione?
«Innanzitutto, è ambientato in alta Langa, una terra un po’ selvaggia e autentica che amo molto. Si tratta di un romanzo che vede protagonista un’avvocatessa americana che torna in Italia per motivi legati alla sua famiglia d’origine e si trova a dover indagare su un avvenimento misterioso avvenuto anni prima. Non vorrei rivelare troppo ma posso dire che si parlerà anche delle famiglie ebraiche che durante la seconda guerra mondiale furono nascoste in un hotel di Bossolasco con la collaborazione di tutto il paese».
C’è qualche personaggio che l’ha ispirata nella creazione dei personaggi?
«Certo, alcuni protagonisti incarnano, riunite, caratteristiche tipiche di uomini e donne del vino che ho conosciuto in Piemonte e che ammiro per la loro forza e determinazione».
Talvolta quando si leggono libro e guardano film americani ambientati in Italia si ha l’impressione che ne esca un Paese un po’ stereotipato e da cartolina, come eviterà questo rischio?
«Capisco bene quello che dice perché nei film in cui i protagonisti sono di New Orleans succede lo stesso, hanno un accento insopportabile! Cercherò semplicemente di attenermi ai fatti e alle storie raccontate. Dove non ci sono documenti, cercherò di rendere le scene verosimili. Spesso parlo di frazioni o luoghi reali ma poco conosciuti, spero sia una sfida per il lettore andare a cercarli. Mi guida la voglia di far conoscere la vostra terra, a volte voi piemontesi siete troppo umili quando dovete descrivervi. Un grande produttore di Barbaresco leggendo “Labor of love” un giorno mi ha chiesto: “perché abbiamo aspettato un’americana per scrivere un libro che avremmo dovuto scrivere noi?”. Forse perché il mio sguardo è diverso perché esterno e a volte questo può rivelarsi un vantaggio. Amo l’umiltà del Piemonte, spero non si “toscanizzi” mai, ma sono felice che le nuove generazioni siano consapevoli della grandezza di questa terra».
Lei organizza ogni anno tour enogastronomici legati al suo libro “Labor of Love” per far conoscere dal vivo questo territorio e i suoi vini. Quando pensa che potrà riprendere il turismo americano?
«Nessuno può rispondere a questa domanda. Io sono credente, posso solo pregare. Quello che posso assicurare è che noi americani non vediamo l’ora di tornare in Italia non solo godere dei vostri paesaggi, cibi e vini ma anche per supportare attivamente il vostro Paese che amiamo così tanto. C’è così tanto da scoprire oltre alle etichette!»