L’orto sociale che si prende cura delle persone

Ad Alba interesse per l’iniziativa legata al progetto avviato dalla Regione “WeCare”

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Esiste uno spazio nell’immediata periferia di Alba, nella zo­na del quartiere Mo­retta, in cui ogni giorno si co­struiscono, in mi­niatura, idea­li ecologici di so­li­darietà, di auto-produzione e re­distribu­zio­ne delle risorse. Una sorta di fiore nel deserto del­l’emer­genza sa­nitaria e in un tempo in cui barriere invisibili s’innalzano tra le persone.
È un piccolo lembo di terra in cui vengono coltivate verdure come fagiolini, insalata, me­lan­za­ne, pomodori e patate, senza l’uso di fitofarmaci.
Ma non si tratta di un orto normale. «Qui ho l’impressione di cambiare un pezzo di mondo», dice Sonia, una donna di 54 anni che lavora al progetto co­me volontaria. «Perché stiamo facendo bene alla natura, pro­cu­rando benessere al quartiere da cui provengo e incarnando un modello positivo da cui i bambini possono prendere spunto».
Ma facciamo un passo indietro. L’orto sociale è gestito dalla Coo­perativa Alice all’interno del più ampio contenitore di “WeCare”: un progetto nato nel 2019, avviato dalla Re­gio­ne Piemonte e finanziato dal­­l’Unio­ne europea. “We­Care” si sviluppa nei quartieri albesi Pia­­ve e Santa Mar­gherita, poi a Ca­nale e in Alta Langa. Con la coordinazione del Con­sorzio socio-assistenziale “Alba, Lan­ghe, Roero” sono le cooperative sociali Alice, Progetto Em­maus, Cos e Terra Mia a con­dur­re i lavori.
Un’ope­razione di squadra che tenta di recuperare un elemento in via di estinzione nel tessuto sociale odierno: l’aiuto reciproco, la rottura degli individualismi per il raggiungimento di un migliore vivere comune.
“WeCare” si avvale di molti stru­­­menti: attività coi bambini, pulizia dei quartieri, riunioni, “biblioteche” di condominio, me­rende collettive. L’orto so­ciale si aggiunge a questi. Spiega Giulia Castagno, operatrice della Cooperative Alice: «L’attività è impegnativa, il la­vo­ro manuale soprattutto in estate non è facile e, a livello sociale, si è smarrita l’abitudine al sudore, ai “calli nelle mani”. La fatica è, invece, preziosa: rende differente anche lo stare insieme, attribuisce va­lore al legame e lo stesso stare insieme rende la fatica più sopportabile e morbida. La soddisfazione è moltiplicata».
Aggiunge Elena Ferrero, operatrice di Progetto Emmaus: «L’orto sociale è un’ottima oc­casione per sperimentare la raccolta delle verdure di stagione e apprendere gli elementi di base per la cura e la coltivazione. Accanto a questo aspetto più evidente si inserisce il gioco di squadra nell’organizzazione del trasporto verso l’orto e la conduzione dell’attività. Ho notato che le persone coinvolte svolgono la mansione con grande impegno e allo stesso tempo lasciano emergere la loro di­mensione più autentica: si lavora, ci si scambia ricette, si parla della vita, si scherza. Si entra dunque in un’atmosfera speciale, dove si è più disponibili ad accogliere l’“altro”, dove si la­sciano cadere le barriere, dove ci si sente egualmente investiti di un ruolo».
A ciò si aggiunge la redistribuzione del realizzato. Da­gli stessi partecipanti, dal “basso”, è emersa un’idea: perché non al­lestire un mercatino con le verdure nei quartieri partecipanti a “WeCare”, e consegnare i prodotti in cambio di una piccola offerta? Perciò, una volta a settimana, prodotti coltivati ap­prodano nei cortili in zona Pia­ve e Santa Margherita e richiamano gli inquilini del condominio, che possono così avvicinarsi alla logica solidale di “WeCare”.
L’intero ricavato proveniente dalle libere offerte dei partecipanti viene destinato al progetto stesso e per la creazione di nuovi eventi o l’acquisto di materiale utile alla collettività. Insomma, co­me si diceva, un vero gioco di squadra. Con­clu­de Ele­na Boc­con, re­spon­sabile del­l’area clinica di Progetto Em­maus: «Si tratta di un piccolo seme, che riprodotto in maniera più allargata potrebbe contribuire a ge­ne­rare altri modi di vi­vere la realtà, immaginando nuo­ve pos­sibilità di relazione e di condivisione».