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«Un 2020 complicato ma questa terra sa come ripartire»

Beppe Gandolfo: «Da Alba l'esempio, qui grandi risorse» Il volto Mediaset autore di “Un anno in Piemonte” indica la strada: «Torino deve reinventarsi capitale, può esserlo nel campo dell’innovazione. L’alluvione ennesimo ostacolo, ma sappiamo sempre tirarci su le maniche»

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Per chi, ogni anno, si occupa di riassumere in un libro fatti e personaggi del Pie­monte, raccontare il 2020 si annuncia come un’impresa più impegnativa che mai. Ma Beppe Gandolfo ha l’esperienza e le competenze che servono anche in questa occasione.

Gandolfo, la prima domanda sarebbe stata: come uscirà il Piemonte dai danni causati dal Covid? Ma poi sono arrivate le alluvioni dei giorni scorsi.

«Le ho vissute in prima linea per Mediaset, anche al fianco del governatore Cirio che, ap­punto, mi confidava come fossimo sul punto di uscire da una crisi e non ci voleva quest’altra batosta… So bene che cosa si­gnifichi. Ho vissuto le alluvioni del 1994, del ’96 e ora questa. Ho rivisto il fango, la distruzione, gli allagamenti e i pianti. Non ci si abitua mai».

La situazione economica generale era difficile già prima: un altro segnale d’allarme?
«Avevamo raccontato, per esem­pio, le difficoltà delle stazioni sciistiche che sul più bello avevano dovuto chiudere anticipatamente per le avvisaglie del coronavirus. E ora dovranno affrontare, penso a Limone Piemonte, questa nuova emergenza. Non sarà facile, ma si andrà oltre l’ostacolo».

Quale può essere il punto di ripartenza?
«Il carattere dei piemontesi. Proprio a Limone, subito dopo il dramma dell’alluvione, ho visto strade piene di gente impegnata a spalare fango. Sappiamo tirarci su le maniche, quando c’è bisogno. Certo, servono anche gli aiuti di Stato. In particolare, ci vorrebbe un progetto come quello per Genova».

Che cosa è cambiato rispetto alle altre alluvioni?
«Nel ’94 ci furono decine di vittime, sono stati fatti passi da gigante. Stavolta la Protezione civile ha chiuso tutto ed evitato il peggio».

Nel prossimo “Un anno in Pie­monte” non mancheranno gli spunti di riflessione…
«Sapevamo del 2020 anno bisesto, ma nessuno si aspettava tanto materiale. Con l’editore, in effetti, stiamo valutando di aumentare le pagine. È stato un susseguirsi di avvenimenti, a cominciare dall’intesa Fca-Peugeot fino alla decisione di annullare il Salone del libro in pieno Covid. Ma poi anche la morte di Romiti, di Pansa, quella recente di Arisio della marcia dei quarantamila. Per fortuna ci sono state anche le notizie positive: penso all’ottima annata del tartufo, dei vini, delle nocciole e dei funghi».

Il 2020 potrebbe essere, anche per il Piemonte, un anno capace di segnare una svolta, un cambiamento storico?

«Ricordo il mio servizio più bello, il 10 febbraio del 2006. Mentana mi telefonò: apri tu il telegiornale con Ciampi a Torino per le Olimpiadi. Intervistai la moglie del presidente che uscendo dall’auto disse: mi prenderò un raffreddore perché ho tenuto sempre aperto il finestrino, ma ne valeva la pena, il Piemonte è bellissimo. Fu per me un momento straordinario e al tempo stesso una svolta storica. L’effetto in questi ultimi anni si è un po’ perso nelle scelte politiche a volte sbagliate. Ma ora è giunto il momento di ridare slancio, di ripartire dopo l’emergenza. Il virus ha modificato le nostre abitudini, per esempio al cinema o al teatro. Ma non possiamo fermarci. Girando il Pie­monte quest’estate ho visto tanti dehors e tante feste che hanno di nuovo raccolto persone ed entusiasmo».

Torino non è più una città industriale e non ancora turistica: che cosa diventerà?
«Non sono sociologo o economista, ma so che qui c’è sempre stata una monarchia. Prima quella dei Savoia, che ha fatto di Torino capitale una città di uffici amministrativi. Poi gli Agnelli che con la Fiat hanno dettato i ritmi delle giornate, per cui alle ore 21 trovavi i ristoranti già chiusi perché in fabbrica si entrava presto, e por­tato lavoro, oltre a una squa­dra di calcio. Ora che la famiglia ha rivolto lo sguardo verso l’estero, Torino deve reinventarsi come quando smi­se di essere capitale del Regno. Non solo turismo: questa è già la capitale della ricerca e delle app innovative. Il potenziale c’è tutto».

Che cosa manca, allora?

«I piemontesi devono imparare a vendersi meglio, mettere da parte l’“understatement”. Alba è un distretto enogastronomico meraviglioso, in generale serve solo una comunicazione adeguata. E poi basta campanilismi. Quando presento per Mediaset l’avvio della stagione sciistica, se scelgo una stazione, mi chiamano subito i vicini… Invece, se vado in Trentino, non ci sono distinzioni. Se la Fiera del tartufo funziona, le cose vanno me­glio anche per l’Astigiano, il Roero, il Monferrato. Un vecchio produttore di vino mi disse: “parla bene del Barolo, ci pensiamo noi a venderlo”. Così si fa».

Personaggi guida del Piemonte?

«Senza fare torti a nessuno, cito i Ferrero (io ho origini langarole, di Cortemilia): hanno portato ricchezza a migliaia di famiglie, rispettando e valorizzando il territorio, coinvolgendo comuni e associazioni, creando “welfare”, occupandosi di sport per i giovani, dando assistenza agli anziani. Un grande esempio».