Enzo Agnelli, artista dall’ironia felliniana

Il ritratto del noto fotografo tracciato da Bruno Murialdo

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Ci ha lasciato Enzo Agnelli. Se n’è an­dato uno dei fotografi più riservati, un poeta che sapeva raccontare il mondo con quell’ironia felliniana che soltanto il sogno di un artista poteva immaginare. Pochi conoscono la sua creatività, i suoi pagliacci, i funerali con allegria, i suoi ritratti surreali. Egli era un artista a tutto tondo, nato da quella fucina che era il “laboratorio fotografico Agnelli”, situato nella centrale via Maestra, ad Alba, uno degli studi più importanti chiuso per sempre negli anni ’80. Un anno fa ci aveva lasciato il fratello Giorgio, un maestro della camera oscura; camera oscura dove Enzo sviluppava i suoi capolavori e dove Aldo, l’altro fratello, ha stampato per la prima volta le fotografie di Bep­pe Fenoglio, diventate un’ico­­na nel panorama letterario. Enzo, oltre a essere un gran­de fotografo, era un amante del pallone elastico, non man­­cava mai alle partite importanti, era un tifoso che aveva im­mortalato il grande Manzo, fino a Bertola e Berruti e quelle “espressioni da sferisterio” pie­ne di gioia e di avventura che celebravano il “balon”. Ave­va in qualche modo anticipato un genere di fotografia che si ispirava al surrealismo: i suoi racconti, realizzati con Piero Ma­sera, furono gli spunti che portarono Piero alla Biennale di Ve­nezia. Lo studio Agnelli, pres­so il quale lavorai anch’io per dodici anni, ha fatto parte della storia della città di Alba e non solo: in quella fucina nacquero idee e progetti che non si fermarono soltanto alla Langa, ma coinvolsero il mondo della fotografia. Le Langhe documentate dal­le foto dello studio Agnelli rimangono a testimonianza di una realtà culturale che, insieme a quella di artisti come Pinot Gallizio, Beppe Fenoglio, Piero Masera, Gina Lagorio, Giovanni Arpino e Cesare Pa­ve­se, fa parte del grande patrimonio formativo di questo Paese. Enzo era un artista “sen­za vol­to”: i suoi lavori, che non sempre hanno raggiunto la notorietà meritata, hanno il dovere di es­sere visti, devono diventare pa­trimonio della città e della sua gente. A volte, la morte di un artista può determinare la sua risurrezione.

Articolo a cura di Bruno Murialdo