Ci ha lasciato Enzo Agnelli. Se n’è andato uno dei fotografi più riservati, un poeta che sapeva raccontare il mondo con quell’ironia felliniana che soltanto il sogno di un artista poteva immaginare. Pochi conoscono la sua creatività, i suoi pagliacci, i funerali con allegria, i suoi ritratti surreali. Egli era un artista a tutto tondo, nato da quella fucina che era il “laboratorio fotografico Agnelli”, situato nella centrale via Maestra, ad Alba, uno degli studi più importanti chiuso per sempre negli anni ’80. Un anno fa ci aveva lasciato il fratello Giorgio, un maestro della camera oscura; camera oscura dove Enzo sviluppava i suoi capolavori e dove Aldo, l’altro fratello, ha stampato per la prima volta le fotografie di Beppe Fenoglio, diventate un’icona nel panorama letterario. Enzo, oltre a essere un grande fotografo, era un amante del pallone elastico, non mancava mai alle partite importanti, era un tifoso che aveva immortalato il grande Manzo, fino a Bertola e Berruti e quelle “espressioni da sferisterio” piene di gioia e di avventura che celebravano il “balon”. Aveva in qualche modo anticipato un genere di fotografia che si ispirava al surrealismo: i suoi racconti, realizzati con Piero Masera, furono gli spunti che portarono Piero alla Biennale di Venezia. Lo studio Agnelli, presso il quale lavorai anch’io per dodici anni, ha fatto parte della storia della città di Alba e non solo: in quella fucina nacquero idee e progetti che non si fermarono soltanto alla Langa, ma coinvolsero il mondo della fotografia. Le Langhe documentate dalle foto dello studio Agnelli rimangono a testimonianza di una realtà culturale che, insieme a quella di artisti come Pinot Gallizio, Beppe Fenoglio, Piero Masera, Gina Lagorio, Giovanni Arpino e Cesare Pavese, fa parte del grande patrimonio formativo di questo Paese. Enzo era un artista “senza volto”: i suoi lavori, che non sempre hanno raggiunto la notorietà meritata, hanno il dovere di essere visti, devono diventare patrimonio della città e della sua gente. A volte, la morte di un artista può determinare la sua risurrezione.
Articolo a cura di Bruno Murialdo