Un milione di euro. Il prezzo di un amore in frantumi. Risarcimento per un presunto inganno sentimentale o ripicca per una delusione cocente. Certo è che un ricchissimo uomo d’affari, finita in fretta la “love story” con una giovanissima” showgirl”, s’è rivolto al tribunale di Milano pretendendo dall’ex la restituzione delle somme investite in regali. Per lo più costosissimi, però con eccezioni che obiettivamente strappano un sorriso. Passi infatti per la Range Rover da 45 mila euro, per un gioiello e un orologio insieme da oltre centomila euro, per lo shopping a Dubai e per la festa di Capodanno a Las Vegas, ma arrivare a volere indietro una lavatrice e un po’ di cialde da caffè è obiettivamente esagerato.
Il magnate motiva la via legale adducendo una truffa bella e buona, ritenendo cioè che la dolce fanciulla, assai avvenente e ben più giovane di lui, lo abbia voluto accanto per puro profitto, di fatto incarnando una truffa. Lei s’oppone e rilancia con lo “stalking”: se amore c’è stato, la fine è tristissima. Va detto, al di là dell’opportunità e dello stile, che perfino un articolo di legge consente di chiedere la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, ma qui non si sa se promessa esista e un po’ nel complesso la vicenda appare strana. Possibile che il signore non abbia mai dubitato che una splendida modella, anche inconsapevolmente, potesse essere rimasta affascinata dal portafoglio e non solo dal personaggio? O pensa di essere irresistibile? Forse sì, perché di attrici e modelle, tra flirt veri e presunti, ne ha avute tante e la sfilza di conquiste è lunga. O forse no, perché la sfilza conferma in fondo un umanissimo, semplicissimo, popolarissimo sospetto: qualcosa ci dice che se fosse stato disoccupato e squattrinato, ancorché fascinoso e brillantissimo, stesso successo non l’avrebbe ottenuto. Eppoi, se non sei sicuro d’un sentimento, e dopo poche settimane non puoi esserne mai sicuro, perché coprire la spasimante d’oro? Un filo d’avarizia avrebbe aiutato il magnate a misurare il sentimento nella sua purezza, svelando intenzioni e arcani della fanciulla, a seconda delle intenzioni impaziente e agitata o comunque felice. D’altronde, se davvero desiderava amore e non un calesse, avrebbe dovuto affidare la conquista a fiori e poesie, comprensione e ascolto, sorrisi e dolcezza, non con inviti e doni costosissimi o affittando per lei, dopo un paio di mesi appena di conoscenza, un appartamento nel centro di Milano con anticipo di 100.000 euro. Non è allora che anche lui ha puntato tutto sul denaro per ammaliare la fanciulla? Senza dimenticare che se è stato invece amore sincero, chiedere indietro regali spontanei è discutibile. La signorina, oltretutto, sostiene d’averne restituito buona parte di sua volontà e non per ingiunzione o condanna, più dura la mamma che invece fa muro sostenendo che la generosità d’un gesto non può essere rivista in base all’evolversi d’un affetto. E che lo sostenga per principio, non per interesse, ci sembra evidente parlandosi d’una lavatrice, inezia in un calcolo che va oltre il milione e occupa trenta pagine d’atto legale.
Ci era sembrato avvilente, tempo fa, apprendere in un’intervista d’un nababbo con baby e bella compagna consapevole d’un baratto triste («Lei vuole la ricchezza, io la gioventù»), ma questo finale tra un altro nababbo e un’altra pulzella ci pare peggio: a decidere s’era un baratto triste o un amore a pezzi sarà un giudice, una sentenza e non una presa di coscienza.
Il nababbo e la pulzella
Un magnate chiede in tribunale un milione di euro a una “showgirl” come risarcimento per i regali fatti durante una breve “love story”. Epilogo triste Di un amore (o di un calesse)