Home Articoli Rivista Idea «Il ruolo della psicologia nelle fasi più critiche»

«Il ruolo della psicologia nelle fasi più critiche»

0
283

“Psicologi per i popoli Pie­mon­te” è un’orga­niz­za­zio­­ne di volontariato professionale nata a Cuneo nel 2008. Il sodalizio, specializzato in emergenze a carattere locale e in maxi emergenze di protezione civile, è stata replicata in molte altre realtà nazionali. A descriverne attività e obiettivi è il presidente Donatella Gallia­no, responsabile dell’area “Psi­cologia dell’emergenza e psi­co­trau­ma­tologia” dell’Asl Cn1.

Dottoressa, quale percorso occorre seguire per diventare “Psicologi per i popoli”?

«“Psicologi per i popoli Pie­mon­te”, insieme all’omonima Fede­razione, organizza e promuove, oltre a iniziative di formazione teorica, anche attività formative caratterizzate da specifiche esercitazioni nazionali, i cosiddetti “campi scuola della psicologia dell’emergenza”. Questo progetto vuole ovviare a una lacuna del nostro Paese: in Italia, infatti, non sono ancora stati promossi insegnamenti universitari su questa specifica materia e, pertanto, non esistono concorsi dedicati. Va però precisato che esistono master post laurea che consentono di acquisire competenze in questo ambito».

Quali tratti caratterizzano l’attività di “Psicologi per i popoli”?

«Gli interventi vengono preparati e pianificati secondo le normative vigenti e le linee guida relative al soccorso psicologico. A livello in­ternazionale si fa riferimento alle linee guida Iasc (Comitato permanente inter-agenzia delle Nazioni unite) che, in Italia, sono conosciute come “Modello psicosociale”. Questo significa che qualunque azione di aiuto, anche logistica, è caratterizzata da una forte connotazione psicologica. Per comprenderne meglio i meccanismi possiamo pensare a una piramide: alla base troviamo il primo intervento psicologico, che è rivolto alla popolazione, ovvero a un numero significativo di persone. Interventi riferiti ai bisogni più elementari (primari) garantiscono la sicurezza, l’informazione, il contenimento emo­tivo, evitando quin­di che le persone ven­gano sopraffatte da ansia e paura. Via via che si identificano gruppi di fa­­miliari critici si offrono in­terventi più specifici dal punto di vista psicologico, anche sul fronte dell’organizzazione dei soccorsi. Si procede fino ad arrivare al vertice della piramide che rappresenta la sofferenza psicologica più strutturata. A tale livello, gli interventi sono rivolti a pochi individui, i quali sono caratterizzati da un alto livello di sofferenza. È per questo che, a favore di tali casi, si utilizzano tutti gli strumenti disponibili per poter ripristinare la capacità di controllo e gestione nell’“hic et nunc” e nella pro­gram­mazione delle cure future. L’emergenza non si affronta da soli, ma si procede con squadre multi-professionali e con un alto livello di preparazione e addestramento sul campo. È importante condividere obiettivi e strategie e avere chiaro che tutte le energie sono rivolte al recupero, fisico e psicologico, delle persone».

Quali momenti l’hanno segnata nel corso della sua attività legata a “Psicologi per i popoli”?
«Il terremoto dell’Aquila è sicuramente stata un’esperienza particolare perché siamo rimasti con la popolazione colpita dal sisma per sette mesi, vivendo “sul campo” tutte le fasi dell’emergenza, in una forma particolare di intimità con gli abitanti del luogo e i soccorritori. Il rapporto che si crea in queste situazioni, specie con gli altri soccorritori, a partire dai Vigili del fuoco, è difficile da descrivere. Essendo anche la presidente di “Psicologi per i popoli Federazione” spesso mi tornano purtroppo in mente le difficoltà legate all’organizzazione dei soccorsi in seguito al distaccamento della slavina che spazzò via l’hotel di località Rigopiano, nel comune di Farindola, in Abruzzo e le continue telefonate per assicurare le cure psicologiche a sopravvissuti e familiari, oltre che i drammatici giorni successivi. Oggi, invece, ancora in piena pandemia, emergono i vissuti legati ad alcuni pazienti seguiti dalla nostra realtà e il grande coinvolgimento dei soggetti interessati».

In che modo l’emergenza conseguente alla pandemia da Covid si distingue dalle altre?
«Ogni emergenza è caratterizzata da una particolare “sofferenza”. Alle calamità naturali, se così si può dire, si reagisce “meglio”: la colpa è della natura e la comunità fa fronte comune per reagire, si unisce. Un attentato terroristico è più difficile da affrontare: è provocato dalla mano dell’uomo, elimina il senso di fiducia e di sicurezza sociale e le persone tendono a non solidarizzare, a chiudersi, a spegnersi nel dolore. Si perde il senso dell’identità sociale. La pandemia ha toccato il senso di onnipotenza della nostra società, ci ha fatto sentire piccoli in un mondo che immaginavamo vincente, potente, autosufficiente, proiettato sempre verso il futuro. Ci ha portati in pochi giorni indietro nella storia e ricollocati nei binari dell’umanità. Dove i danni sono gravi serviranno terapie mirate, anche lunghe, e sarà necessario un aiuto psicologico costante per ricostruire il senso dell’esistenza e la quotidianità».