«Insegniamo coraggio ai nostri ragazzi contro l’epidemia»

Don Mazzi: «Noi come l'Italia dobbiamo agire da adulti» Il fondatore della comunità Exodus: «Anche io che ho 90 anni sono preoccupato per il virus, ma non dobbiamo farci spaventare. Se gli educatori hanno entusiasmo, lo trasmettono ai giovani e si fanno seguire. Sbagliato chiudere le scuole, così i più deboli rischiano grosso»

0
465

Don Mazzi, puntiamo l’obiettivo sui nostri ragazzi: in questa fase sono destabilizzati così come le loro famiglie. Come vanno aiutati?
«Il problema è che partiamo sempre dalla parte sbagliata, qui prima di tutto ci vorrebbe una grande forza, l’entusiasmo degli educatori. Sono loro che dovrebbero dare un esempio di carattere per far superare ai ragazzi queste difficoltà. La faccia dell’insegnante è molto importante, deve essere positiva come quella dei genitori. Perché sappiamo che se gli educatori sono i primi a trasmettere malessere, i ragazzi ne risentono. E succede che, nel passaggio tra medie e superiori, i più de­boli diventano un problema perché magari si lasciano affascinare dai gruppi dei più violenti. Lo abbiamo visto nelle ultime manifestazioni in piazza: c’erano giovanissimi inseriti nei gruppi dei violenti. Que­sti adolescenti hanno purtroppo trovato un’occasione per passare una nottata di violenza con chi la fa di mestiere, rovinando il significato stesso di certe manifestazioni. E allora torno dalla parte dell’adulto, dell’insegnante che è co­me l’allenatore nello sport: lui mo­stra carattere e positività per trascinare i ragazzi».

È d’accordo con la scelta di chiudere le scuole a favore della didattica a distanza?

«La scuola deve funzionare. Il più debole, se resta fuori, cade più facilmente nella droga o in altre deviazioni. La scuola deve continuare ad avere il suo ruolo. Mi domando perché ci siano decine di pulmini scolastici fermi mentre sono strapieni i metrò e i tram. Non prendiamoci in giro e non scarichiamo sui ra­gazzi le responsabilità di problemi diversi».

Come ne possiamo uscire?
«Noi adulti siamo davvero adulti? L’Italia sia adulta! Certo, se è rappresentata da questo Parla­mento, che Italia è? Se le scuole restano vuote perché gli insegnanti non se la sentono di an­darci, il rischio è doppio, per la disciplina e per la salute. Io ho 90 anni e sono sempre in mezzo ai ragazzi del parco Lambro, qui a Milano. Anche nei giorni scorsi abbiamo avuto un caso di Covid eppure io resto qua, i ragazzi ci ten­gono, se io dovessi sparire non so come farebbero… Ma mai come oggi essere adulto è difficile, abbiamo gente di 40 anni che non ne dimostra 20. E io mi arrabbio!».

È così difficile capire i ragazzi?

«Non si tratta tanto di capire i ragazzi, il problema è capire noi. Tirare fuori il coraggio era fondamentale anche prima del Co­vid, adesso abbiamo un problema in più. I ragazzi devono guardarci negli occhi e capire che anche noi soffriamo, ma non perché abbiamo paura. È un momento particolare della vita, così come lo furono il do­poguerra, gli anni del terrorismo, la droga a Milano… La parola chiave è maturità. E in questo contesto la scuola resta una priorità. Ma chi se ne frega dei banchi con le rotelle o senza, un bravo insegnante il suo lavoro lo fa anche seduto per terra, io lo faccio anche in galera!».

Ma lei, don Mazzi, non ha mai paura?
«Insomma… Ho novant’anni, la paura c’è, ma è fisica, il mio cardiologo mi chiama tre volte al giorno per sentire come sto, ha più paura lui di me! Certo, se a me capita ‘sta bestia del Covid, ho finito… Ma se è normale avere un po’ di preoccupazione, non esiste lo spavento, un adulto ra­giona e trova il male minore in ogni situazione, non abbandona un figlio. La paura va interpretata, le precauzioni sono doverose. È facile farsi prendere dalla paura, poi a Milano ancora di più».

La soluzione è chiudersi in casa?
«Se c’è bisogno di una risposta im­mediata, ci si chiude. Però non è così che si risolve il problema, visto che quando poi riapri, come abbiamo visto, un mese dopo sei peggio di prima. Allora va bene chiudersi a casa, ma la scuola no. E il lavoro no. Le cose fondamentali restano. Di­verso il discorso per le discoteche, io ho vissuto il dopoguerra e non c’erano distrazioni… Ne sono venuto fuori, quindi ora stiamo attenti. Si deve anche avere il coraggio di dire educatamente: questo sì e questo no. Ora no ai piaceri, ma passerà».

I ragazzi sono meglio di come spesso vengono dipinti?
«Sono quelli di sempre, un misto di fragilità e forza, bontà e violenza, pazienza e incoscienza. L’adulto è tale se capisce il mo­mento giusto in cui intervenire e non pretende che il figlio lo segua nei momenti sbagliati. Mai affrontarli di petto quando sono… fuori di testa, bisogna lasciarli sfogare e intervenire dopo».

Come fate adesso a gestire i ragazzi della vostra comunità?
«Rispettiamo le misure, usiamo la mascherina, mangiamo a turni, la scuola purtroppo è in modalità telematica, alcuni che avevano cominciato a lavorare ora non possono, ma vedremo… Ogni giorno c’è un problema da affrontare. Ora, per esempio, dovremmo mettere alcuni ragazzi in isolamento, ma dove? Siamo già pieni. Si parla tanto degli ospedali, ma noi siamo messi peggio. Però non bisogna mai drammatizzare, un adulto capisce e fa le mosse giuste. Scaricare la responsabilità sugli altri è sbagliato, non si deve fare. Figuriamoci sui ragazzi. Se tu sei tranquillo, loro lo capiscono e arrivano».

L’emergenza si affronta anche con la fede?
«La fede da sola non è abbastanza. Il Padreterno ci ha dato l’intelligenza, ci ha dato tutto. E in questa partita serve tutto: testa, cuore, gambe, pazienza, tenerezza. Ma anche qualche urlaccio quando è ora. Se aiutiamo i ra­gazzi, per loro sarà come per me è stata la guerra: l’ho attraversata con paura, sofferenza e l’aiuto degli adulti. Sono rimasto ferito, ma ce l’ho fatta. Se dobbiamo chiu­dere, non fermiamo la scuola. I docenti abbiano la “faccia” giusta. Chi ha avuto insegnanti bravi, se li ricorda per sempre».

c