Corriamo il rischio di oscillare tra panico e angoscia. L’angoscia è l’attesa di un pericolo conosciuto solo in parte, come nel caso del Covid, che non si pensava potesse avere questa estensione di contagio. Come ha spiegato Yuval Noah Harari un paio di anni fa, ci siamo illusi di essere diventati dèi da animali che eravamo, ma questa pandemia ci ha ulteriormente disilluso. Da una parte temiamo che ci tolgano di nuovo la libertà e dall’altra sperimentiamo il senso di colpa per essere di nuovo in questa situazione, dopo la prima ondata. Il panico, invece, è lo stato d’animo di quando ci si trova di fronte
a un pericolo senza essere preparati agli sviluppi. Per cercare di gestire la paura dobbiamo fare in modo che non sfoci nell’angoscia, che poi diventa panico. Panico che dà luogo a due reazioni diverse: la canalizzazione attraverso azioni che manifestano il disagio in maniera distruttiva, oppure la chiusura, e quindi il passaggio a una dimensione ansioso-depressiva. Uno studio su un migliaio di operatori sanitari delle zone più colpite dalla prima ondata intervistati ad aprile ci dice che il 50 per cento dei partecipanti ha riferito sintomi di ansia da moderata a grave, mentre il 30 per cento ha avuto un quadro di depressione tra moderata e grave,una caduta del tono dell’umore e difficoltà di organizzazione comportamentale. Il 15 per cento ha manifestato insonnia. A una dimensione di paura, quindi, non si può pretendere una risposta razionale; occorre farlo “ragionevolmente”, cercando in se stessi e nelle persone intorno caratteristiche di resilienza e di rinforzo delle abilità che ci permettano di cambiare mentalità e comportamenti e di adattarci al nuovo contesto; in altri termini, di utilizzare una “flessibilità psicologica” attingendo anche, per esempio, al proprio ruolo professionale o al compito che
si riveste nel contesto famigliare. I “sapiens” reagiscono agli eventi attraverso un sistema di relazioni simboliche e in questo senso i mezzi di comunicazione hanno un ruolo fondamentale: spiegano cosa fare per affrontare la pandemia, ma bisogna
essere molto cauti per evitare di amplificarne gli effetti a livello psicologico, sia individuale che sociale. Se il panico contagia dieci, trenta persone, l’”effetto tribù” diventa “effetto società”.
Luigi Salvatico – Vi spiego perchè
«Bisogna accettare di essere spaventati e mettere in atto, insieme a chi ci sta intorno, delle strategie per gestire questo stato d’animo non razionalmente, ma “ragionevolmente”, facendo sì che non si trasformi in panico»