Impegnato a combattere contro ogni esagerazione, il virologo Fabrizio Pregliasco prova a rispondere su queste pagine alle questioni lasciate aperte dall’epidemia e in particolare dopo le nuove restrizioni decise dal Cts e applicate dal governo nelle regioni in fascia rossa come il Piemonte. Noi di IDEA avevamo contattato il professor Pregliasco già nel corso della prima fase del Covid e ci aveva messo in guardia sulla necessità che le istituzioni avevano di preparare ogni misura preventiva per fronteggiare un’eventuale fase due. Come è andata nel frattempo? «Si poteva fare meglio», risponde il virologo.
Tanto per cominciare, era giusto avviare queste zone rosse regionali nella fase attuale?
«Sul fatto che fosse necessario intervenire non ci sono dubbi, esistono i dati Istat che confermano il generale peggioramento della situazione. L’incremento dei casi di Covid è stato ed è oggettivo. E allora il Dpcm si è reso necessario per ridurre in generale i contatti. Il nemico è il virus e poco importa se una zona sia rossa, oppure arancione o rossa. Purtroppo sappiamo che andiamo a colpire le attività economiche».
Come evitare, quindi, le polemiche che ci sono state e continuano a esserci?
«Di sicuro il governo avrebbe dovuto spiegare meglio le motivazioni della chiusura, rendere più trasparente la gestione dei dati stessi e dell’algoritmo che si basa sui 21 parametri di cui si è tanto parlato in questi giorni».
A proposito, c’è chi sostiene che forse 21 parametri siano troppi. Un numero minore di indicatori, più precisi, potrebbe definire meglio il quadro dell’epidemia?
«Non credo che il problema sia questo, quanto piuttosto la difficoltà di far arrivare alle persone una comunicazione maggiormente chiara e soprattutto coesa. Così invece sono arrivati troppi messaggi contrastanti».
A proposito: di recente il professor Bernabei, un membro del Comitato tecnico scientifico, ha detto che la malattia è letale solo nella fascia degli ultraottantenni, ma subito dopo il suo collega (in quanto geriatra e componente del Cts) Cartabellotta lo ha smentito accusandolo di essere anche irrispettoso nei confronti degli ottantenni. E allora a chi dobbiamo dare retta?
«E allora è vero che il virus colpisce più pesantemente nella fascia di età più alta, però è anche vero che è in grado di bloccare a letto per 5-6 giorni anche un giovane. Quindi non conviene far passare messaggi che sottovalutino l’epidemia».
C’è poi la questione degli asintomatici: sono persone sane o persone malate?
«Sono persone che possono contribuire a diffondere il contagio a volte in misura molto consistente, perché magari vivendo in famiglia restano più vicini e più a lungo con altri soggetti, in un contesto dove le difese si abbassano inevitabilmente, creando così un effetto moltiplicatore e una catena ulteriori di contagi che finisce per essere fuori controllo».
Un altro tema dibattuto riguarda i tamponi: se ne fanno abbastanza? Oppure, al contrario, se ne fanno troppi?
«Dipende dalla disponibilità. Se in Piemonte è stato deciso di non fare tamponi agli asintomatici è proprio perché si è ridotta la capacità di effettuare una verifica adeguata».
Terapie intensive: situazione ancora sotto controllo oppure il problema è evidente?
«Quello delle terapie intensive resta il problema principale. Al momento si rischia un’eccedenza. L’unica via per evitare di dover affrontare in futuro un’emergenza insostenibile è quella di monitorare lo sviluppo dell’epidemia e curare il maggior numero possibile di contagiati a casa».
L’effetto collaterale, per così dire, è quello della paura: si diffonde ovunque.
«È una componente che va a peggiorare le cose, diventa quindi prioritario individuare le risposte giuste. Anche per chi si trova in prima linea, anzi a cominciare da loro che stanno sostenendo una situazione oggettivamente molto pesante».
Che cosa potremo sapere di più tra due settimane, dopo questo periodo di “lockdown”?
«Speriamo di ottenere un’attenuazione della curva e migliorare la capacità di tracciamento del virus».