Home Articoli Rivista Idea «È con l’Europa che cresce il debito: possiamo farcela»

«È con l’Europa che cresce il debito: possiamo farcela»

L’economista Carlo Cottarelli: «Serve una strategia» «Il Governo deve spiegare meglio il perché delle sue decisioni: sbaglia a farle cadere dall’alto. Sui posti in terapia intensiva mancanze evidenti, come nella gestione dei trasporti. Avrei evitato gli Stati generali: inutili. E in futuro, meno burocrazia»

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Professore an­c­­he lei in “zona ros­sa”?
«Sì, mi trovo in Lom­bardia, quindi anch’io in “zona rossa”».

Era una misura inevitabile?
«Era necessaria dopo che le ultime restrizioni si sono rivelate piuttosto modeste. Devo dire che l’idea di applicare limitazioni variabili, in base alle risultanze, mi sembra in generale una buona idea. A marzo tutti si lamentavano, chiedevano misure differenziate e ora che accade il contrario, gli stessi hanno da ridire? Certo, l’importante è spiegare sempre il motivo dei diversi interventi. Ci vuole trasparenza».

Il “lockdown” a­r­riva in un momento già difficile per l’economia: quanto inciderà?
«Lascerà il segno, ma non come a marzo quando si è perso 1/4 di produzione e il Pil è sceso di 25 punti percentuali rispetto al mese di gennaio».

Si dice che questa crisi consoliderà le ricchezze già acquisite e farà aumentare il divario con chi era già in difficoltà.
«Non so se i ricchi saranno più ricchi. In Italia il problema non è tanto nel divario tra i due estremi, quanto nella povertà che in generale aumenta per tutto il Paese. Se già il tuo reddito è basso, perdere un 10% significa avere guai. I dati della Banca d’Italia ci dicono che non è la distribuzione della ricchezza a preoccupare quanto, dagli anni ’90, un progressivo e generalizzato impoverimento».

Quella del debito è una materia che lei conosce bene: in prospettiva è questo il tema che deve preoccuparci maggiormente?
«Non direi, perché il debito dell’Italia sta aumentando ma soprattutto verso le istituzioni europee e non quelle bancarie, quindi con tassi vicini allo zero e comunque non negativi. Questo attenua il rischio in prospettiva. Però non bisogna produrre altro debito».

Come giudica l’azione del Go­verno? Non crede che il difetto peggiore sia la mancanza di una visione del futuro?
«In effetti non c’è una visione a medio termine. Quali investimenti andranno messi in campo dopo l’emergenza? Non è ancora chiaro quali richieste faremo all’Unione europea. Altri paesi si sono già messi in moto: la Spagna e il Portogallo, per esempio. Noi non ancora, anche se abbiamo sempre più bisogno di questi fondi».

Si parla tanto del ritardo digitale dell’Italia.

«Questa è solo una delle priorità. E dovrebbe essere, appunto, compresa nel Recovery fund».

Non più tardi di due anni fa, il presidente Mattarella le affidò l’incarico di formare un governo ztecnico. Poi subentrò il premier Conte. Lei avrebbe preso decisioni molto diverse?

«Ero lì solo per portare l’Ese­cutivo a nuove elezioni. Ma non è facile gestire certe problematiche. Credo che avrei puntato su una diversa comunicazione, perché è fondamentale spiegare le motivazioni che portano a prendere determinate decisioni. Questo governo invece dà l’impressione di far cadere le scelte dall’alto. Bisognerebbe dire: sia­mo in un momento storico molto difficile ma questo Paese è forte e ne usciremo. Per il resto, anche se è facile con il senno di poi, avrei evitato in ogni modo di accumulare il ritardo nell’aumento dei posti in terapia intensiva dovuto alla mancata comunicazione Stato-Re­gioni. E avrei agito più drasticamente sulla riduzione della capienza nei trasporti pubblici, oltre la soglia dell’80% che si sapeva non avrebbe garantito il distanziamento a bordo dei mezzi. Poi avrei evitato perdite di tempo ridicole tipo gli Stati generali. Ma riconosco che parlare dopo è molto facile».

E gli incentivi estemporanei come i bonus monopattini?
«Ci possono stare, hanno premiato i produttori di quel settore che evidentemente han­no lavorato bene. Piut­tosto mi sono indignato per il caos del “click-day”».

La crisi da Covid cambierà il nostro modello di sviluppo e quindi l’economia?
«Non mi aspetto rivoluzioni, ma alcuni cambiamenti come il maggior utilizzo del lavoro da casa. Fa risparmiare molti soldi alle aziende. È chiaro che poi bisognerà affrontare alcuni aspetti, visto che in quel risparmio c’è anche, per citare un esempio, il riscaldamento che diventa un costo a carico del lavoratore in “smart-working” e non più del datore di lavoro. Bisognerà tenerne conto».

Quali saranno gli effetti dell’elezione di Joe Biden nuovo presidente americano sugli equilibri mondiali?

«Sarà più attento alla questione del clima (che con il suo predecessore non era nemmeno una questione sul tavolo) e avrà più dialogo con l’Europa. Trump a­veva puntato sulla negoziazione politica dei dazi, ottenendo anc­he risultati ma con notevoli difficoltà. Biden cambierà approccio. Non prevedo invece stravolgimenti nei rapporti e nelle strategie con Russia e Cina, mentre la politica economica interna vedrà continuare negli Usa l’espansione fiscale».

In Italia il governo su cosa dovrebbe puntare per una svolta nel lavoro e nell’economia?
«Non mi aspetto che decida di puntare su un settore o su un altro, ma che semplifichi la vita degli imprenditori riducendo la burocrazia e migliorando i servizi. La burocrazia crea incertezza. L’Italia è il posto dove gli investitori stranieri riscontrano maggiori ostacoli, nonostante una forza lavoro capace. E poi c’è la tassazione, che sul lavoro chiamiamo cuneo fiscale, a complicare i piani. Che cosa fare? Tagliare le tasse è possibile ma solo a fronte di un finanziamento permanente. Questa è la sfida».
Professore an­c­­he lei in “zona ros­sa”?
«Sì, mi trovo in Lom­bardia, quindi anch’io in “zona rossa”».
Era una misura inevitabile?
«Era necessaria dopo che le ultime restrizioni si sono rivelate piuttosto modeste. Devo dire che l’idea di applicare limitazioni variabili, in base alle risultanze, mi sembra in generale una buona idea. A marzo tutti si lamentavano, chiedevano misure differenziate e ora che accade il contrario, gli stessi hanno da ridire? Certo, l’importante è spiegare sempre il motivo dei diversi interventi. Ci vuole trasparenza».
Il “lockdown” a­r­riva in un momento già difficile per l’economia: quanto inciderà?
«Lascerà il segno, ma non come a marzo quando si è perso 1/4 di produzione e il Pil è sceso di 25 punti percentuali rispetto al mese di gennaio».
Si dice che questa crisi consoliderà le ricchezze già acquisite e farà aumentare il divario con chi era già in difficoltà.
«Non so se i ricchi saranno più ricchi. In Italia il problema non è tanto nel divario tra i due estremi, quanto nella povertà che in generale aumenta per tutto il Paese. Se già il tuo reddito è basso, perdere un 10% significa avere guai. I dati della Banca d’Italia ci dicono che non è la distribuzione della ricchezza a preoccupare quanto, dagli anni ’90, un progressivo e generalizzato impoverimento».
Quella del debito è una materia che lei conosce bene: in prospettiva è questo il tema che deve preoccuparci maggiormente?
«Non direi, perché il debito dell’Italia sta aumentando ma soprattutto verso le istituzioni europee e non quelle bancarie, quindi con tassi vicini allo zero e comunque non negativi. Questo attenua il rischio in prospettiva. Però non bisogna produrre altro debito».
Come giudica l’azione del Go­verno? Non crede che il difetto peggiore sia la mancanza di una visione del futuro?
«In effetti non c’è una visione a medio termine. Quali investimenti andranno messi in campo dopo l’emergenza? Non è ancora chiaro quali richieste faremo all’Unione europea. Altri paesi si sono già messi in moto: la Spagna e il Portogallo, per esempio. Noi non ancora, anche se abbiamo sempre più bisogno di questi fondi».
Si parla tanto del ritardo digitale dell’Italia.
«Questa è solo una delle priorità. E dovrebbe essere, appunto, compresa nel Recovery fund».
Non più tardi di due anni fa, il presidente Mattarella le affidò l’incarico di formare un governo tecnico. Poi subentrò il premier Conte. Lei avrebbe preso decisioni molto diverse?
«Ero lì solo per portare l’Ese­cutivo a nuove elezioni. Ma non è facile gestire certe problematiche. Credo che avrei puntato su una diversa comunicazione, perché è fondamentale spiegare le motivazioni che portano a prendere determinate decisioni. Questo governo invece dà l’impressione di far cadere le scelte dall’alto. Bisognerebbe dire: sia­mo in un momento storico molto difficile ma questo Paese è forte e ne usciremo. Per il resto, anche se è facile con il senno di poi, avrei evitato in ogni modo di accumulare il ritardo nell’aumento dei posti in terapia intensiva dovuto alla mancata comunicazione Stato-Re­gioni. E avrei agito più drasticamente sulla riduzione della capienza nei trasporti pubblici, oltre la soglia dell’80% che si sapeva non avrebbe garantito il distanziamento a bordo dei mezzi. Poi avrei evitato perdite di tempo ridicole tipo gli Stati generali. Ma riconosco che parlare dopo è molto facile».
E gli incentivi estemporanei come i bonus monopattini?
«Ci possono stare, hanno premiato i produttori di quel settore che evidentemente han­no lavorato bene. Piut­tosto mi sono indignato per il caos del “click-day”».
La crisi da Covid cambierà il nostro modello di sviluppo e quindi l’economia?
«Non mi aspetto rivoluzioni, ma alcuni cambiamenti come il maggior utilizzo del lavoro da casa. Fa risparmiare molti soldi alle aziende. È chiaro che poi bisognerà affrontare alcuni aspetti, visto che in quel risparmio c’è anche, per citare un esempio, il riscaldamento che diventa un costo a carico del lavoratore in “smart-working” e non più del datore di lavoro. Bisognerà tenerne conto».
Quali saranno gli effetti dell’elezione di Joe Biden nuovo presidente americano sugli equilibri mondiali?
«Sarà più attento alla questione del clima (che con il suo predecessore non era nemmeno una questione sul tavolo) e avrà più dialogo con l’Europa. Trump a­veva puntato sulla negoziazione politica dei dazi, ottenendo anc­he risultati ma con notevoli difficoltà. Biden cambierà approccio. Non prevedo invece stravolgimenti nei rapporti e nelle strategie con Russia e Cina, mentre la politica economica interna vedrà continuare negli Usa l’espansione fiscale».
In Italia il governo su cosa dovrebbe puntare per una svolta nel lavoro e nell’economia?
«Non mi aspetto che decida di puntare su un settore o su un altro, ma che semplifichi la vita degli imprenditori riducendo la burocrazia e migliorando i servizi. La burocrazia crea incertezza. L’Italia è il posto dove gli investitori stranieri riscontrano maggiori ostacoli, nonostante una forza lavoro capace. E poi c’è la tassazione, che sul lavoro chiamiamo cuneo fiscale, a complicare i piani. Che cosa fare? Tagliare le tasse è possibile ma solo a fronte di un finanziamento permanente. Questa è la sfida».