Scoprendo la storia dei vini di questa terra, si apre un mondo. Un mondo a forma di dorsale: quella che collega il punto in cui sorgeva il “castrum Serrae” fino a Magliano Alfieri. Località San Pietro, per la precisione, ovvero il luogo in cui ora sorge l’antico pilone che porta il nome del primo pontefice. Un luogo che conoscono bene gli “Amici del castello Alfieri”, associazione che ha le idee chiare su come restituire memoria e lignaggio a un sito dai mille significati. Per conoscere meglio queste colline tornano utili le pagine de “Il monte dei sette castelli”, edito nel 1989 dalla Pro loco maglianese, che ci ha consegnato Cesare Giudice. Ma anche le preziosissime note di Carlo Sacchetto, che degli “Amici del castello” è la guida. E, ovviamente, i riferimenti e le mappe del “Repertorio storico” di Baldassarre Molino. Si scoprono un sacco di cose, su questo San Pietro, specie studiando il percorso più semplice e lasciandosi trasportare lungo l’omonima via che parte da Sant’Antonio di Magliano. Tutto ciò con la benedizione di un altro pilone, più recente, dedicato a San Marco e rimesso a nuovo poco tempo fa dalle “pie donne” maglianesi. Un sentiero che si sviluppa tra mille tentazioni visive. Da quando l’asfalto si perde nel “ghiaione”, tutto è un richiamo: il “foliage” intenso di questo strano ottobre fatto di mascherine e temporali serali, lo “skyline” che trae quasi in inganno nel suo affiorare di altri campanili, piloni. Quasi miraggi. Ce n’è uno che “confonde”, se visto in lontananza; ma la memoria, dopo un attimo, rimanda a un altro luogo consacrato al Barbera, già “sotto” Castellinaldo, in quella località Granera che è tra i migliori “cru” della sinistra Tanaro. In seguito, si incontra il pilone dedicato a San Carlo, perso tra le rose, curato dalla famiglia Marello. Una cartolina dentro l’altra: in una gioiosa “via crucis” tra “ciabòt” e arnie lasciate lì non senza un motivo, prugneti e piante d’albicocco: è tutto un omaggio alla biodiversità, che qui è di casa. Giocano di “sponda” anche le nuove costruzioni che fanno capolino a valle, con il “grande fiume” che si rivela oltre le corone di vigne quasi pronte per la potatura. Nulla è casuale, neppure il tocco umano. Un tempo, infatti, quest’area era abitata. Del resto, qui si incrociavano la valletta Drusiana legata a San Giuseppe di Castagnito e il “fundus Mallianus”, ovvero ciò che c’era prima della stessa Sant’Antonio, radici fortissime d’epoca romana, testimonianze che emergono forti ora, di nuovo, proprio grazie agli “Amici del castello”. Lo stesso nei “campi Sappa”, dove un muro sembra far sgorgare resti di quell’epoca. «D’altra parte», aveva spiegato tempo fa Sacchetto, «San Pietro sorge su un colle di antichissime memorie storiche; le attività agricole, nel tempo, hanno riportato alla luce oggetti litici e frammenti forse risalenti al 2000 avanti Cristo». Tanto basta per fare un ultimo sforzo: il pilone c’è, esiste, bisogna andarci. E, quando lo si incontra, è come se si fosse trovato un vecchio conoscente che non si vedeva da tempo. Avrebbe tante cose da dire questo pilone, dal momento che qui sorgevano una chiesa con diritto di sepoltura e, probabilmente, un convento. “Contava”, oltre ogni apparenza, tanto che l’allora potentissimo Abate di Breme, in nome di San Pietro, ne rivendicava i diritti all’altrettanto risoluto Vescovo di Asti. Era il 1111, come ricordano gli scritti dello stesso Molino: anni di “terra mista a sangue”, di lotte sfociate nell’“Astisio”, antiche prove tecniche di coesione di ciò che sarebbe divenuto, secoli dopo, il Roero. Sopravvisse a lungo quel luogo sacro: anche quando i maglianesi decisero di spostare la loro vita più a valle, dove sorge oggi la popolosa frazione “antonina”. La Messa si celebrava ancora qui nel ’700, come raccontano le cronache di visita pastorale di quel periodo. Lì, in quel tempo, si continuavano a seppellire anche i defunti, prima dell’Editto Napoleonico che rese felice Ugo Foscolo e anche la “grezza” sanità dell’impero, portando i cimiteri fuori dai centri abitati. Altro che gel igienizzante e plexiglass. Infine, purtroppo, il “decadimento”. Ma la voglia di lasciare un “segno sacro” portò alla costituzione del pilone in luogo della chiesa grazie alle offerte dei fedeli nell’Anno Domini 1842. Se ne indovinano ancora i tratti: l’effige della Madonna, un dipinto dedicato a San Pietro e un San Rocco senza più volto, né cane al seguito, esistente solo in qualche pallida testimonianza che ora sogna di ruggire di nuova realtà. Gli “Amici del castello Alfieri” lo vogliono re-cuperare, in toto, questo luogo. Dice il presidente Sacchetto: «Affinché non venga dimenticato e ricoperto di rovi, è necessario ripulire l’area immediatamente adiacente, verificare lo stato di salute dei muri e, se fosse possibile, restaurare gli affreschi interni. Queste attività andranno svolte seguendo le regole scientifiche del restauro». Entreranno sicuramente in azione, c’è da scommetterci. Auspicando fausti esiti su possibili saggiature dei terreni, si potrebbe al contempo pensare, per l’area circostante, anche ad una nuova veste viticola, in linea con quanto esisteva un tempo. Perché in fondo, nel Roero, viti e viti si rincorrono sulle trame della storia.
Là, lungo il sentiero che invita alla rinascita
A Magliano Alfieri le suggestioni del colle di San Pietro