Con gli ultimi due Dpcm l’Italia è stata nuovamente costretta a ritarare le proprie abitudini. Stavolta, a differenza di marzo, manca “l’effetto sorpresa”: in otto mesi il governo non ha potenziato in maniera
adeguata il servizio sanitario nazionale, rendendo ora necessarie nuove chiusure, litigando tra maggio e luglio su come sperperare i soldi (monopattini e banchi a rotelle). Ricadono per la seconda volta su famiglie, partite Iva e imprese, provvedimenti non supportati da evidenze scientifiche, che dimostrano solo l’impreparazione del governoa fronteggiare la tanto preannunciata fase due, nonostante ben sei mesi
di tempo per mettere in sicurezza il Paese. A far discutere però, oltre le misure che sono state applicate, è il tipo di strumento con il quale si è deciso di procedere. Qual è criterio in forza del quale Conte decide, tramite Dpcm, che un centro estetico, una palestra o un ristorante si deve chiudere, mentre un barbiere o una pasticceria possono rimanere aperti? Tale criterio semplicemente non esiste. Non viene spiegato, né tanto meno motivato. Nel Dpcm il Presidente del Consiglio può fare solo raccomandazioni, e non può sostituirsi al Decreto legge, non può emanare norme imperative. I lettori sanno che, fino a quando si tratta di forti raccomandazioni, sono liberi e possono fare tutto quello che vogliono. Sul resto, il decreto va oltre i poteri dell’autorità che lo ha emanato. I ristoratori (per citare una delle categorie più colpite), qualora facessero ricorso per ragioni di stretto diritto, avrebbero altissime possibilità di veder annullato il Dpcm, dal giudice competente, che è il Tribunale amministrativo per il Lazio. Si tratta, infatti, di impugnare un semplice atto amministrativo, non una legge o un atto avente forza di legge, poiché la motivazione deve sempre essere espressa, altrimenti l’atto è illegittimo. Chi oggi si muove per difendere il suo diritto al lavoro l’ha capito, e se si attiva fa bene: faremo bene a mobilitarci in tanti. Al riguardo, si segnala che il sindaco di Pontinvrea,
nel Savonese, ha firmato un’ordinanza, la quale permette di tenere aperte le attività di bar e ristoranti sul territorio comunale fino alle 23. L’ordinanza è volta a disattendere il Dpcm del 24 ottobre perché il decreto presenterebbe profili di incostituzionalità e perché non ci sarebbero dati scientifici che provino che nei locali pubblici dopo le 18 si possa contrarre il virus del Covid-19.
L’opinione di Alberto Rizzo – L’ennesiomo DPCM – Vi spiego perchè
Ci sono i margini di legge per attivarsi contro le nuove misure