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«La resilienza sportiva ci sprona a lottare per vincere il Covid»

Xavier Jacobelli omaggia la memoria di Piero Dardanello «Come ci insegna lo sport, dobbiamo resistere e guardare avanti senza cedere al pessimismo»

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La valenza del premio “Piero Dardanello” è du­plice: oltre a riconoscere la bravura delle migliori “pen­ne” sportive, ri­lancia il messaggio del compianto giornalista monregalese a cui è intitolato il ri­conoscimento. Ov­vero: «Ricer­care e raccontare la verità, sempre», ci spiega Xavier Jacobelli, di­rettore di Tuttosport e presidente della giuria del premio.

Scusi, direttore, ma il giornalista non dovrebbe farlo sempre?
«Dovrebbe. Pur­troppo, sta crescendo una generazione di giornalisti “copia-incolla”, che faticano a coniugare i verbi e, cosa gravissima, non verificano le fonti».

I nuovi me­dia, che amplificano le “fake news”, non aiutano…
«A prescindere dai media, il giornalista è tenuto a essere autorevole, attendibile e credibile. Occorre una preparazione adeguata».

È quello che manca oggi?

«Io e i giornalisti della mia generazione arrivavamo da una “signora” gavetta: avevamo le “suole consumate”! E, poi, eravamo mossi da una passione infinita. In questo senso, i premi come quello dedicato a Piero Dardanello diventano fon­damentali per combattere le “false notizie” e il giornalismo di scarsa qualità».

In cosa Dardanello era diverso?
«In tutto. È stato un innovatore, un precursore…».

Quindi si sarebbe trovato bene anche con i social…

«Sarebbe stato uno dei protagonisti».

Ma visto che, tempo fa, i social non c’erano, come riuscì a eccellere?
«Era un “cultore della notizia”: la ricercava, la verificava, la contro-ve­rificava e la annunciava. Tutto ciò arrivando prima degli altri. Ha fatto scuola».

Ha collaborato con lui?

«No, purtroppo. Ma l’ho sempre stimato. Ogni anno, premiando in suo onore giornalisti affermati e “giovani promesse”, vogliamo continuare a trasmettere il suo “messaggio”».

Un “messaggio” che, peraltro, sarebbe tornato utile anche in epoca di Covid…
«Certamente, trattandosi di un’epo­ca ricca di… “panzane” da smascherare. Devo dire, però, che il giornalismo sportivo si è difeso».

In che senso?
«A causa del “lockdown” della scorsa primavera, per ben 105 giorni i giornali sportivi non hanno potuto raccontare ciò per cui sono nati, ovvero i fatti sportivi. In tale contesto, hanno dato prova di resilienza e professionalità».

Anche lo sport, del resto, è stato “resiliente”…
«Lo sport è resiliente per natura. Lo è stato nelle circostanze più drammatiche della storia. Penso, guardando all’Italia, ai Vigili del fuoco della Spezia che vinsero lo Scu­detto 1943/44, in tempo di guerra o al Grande Torino che, dopo il se­condo conflitto mondiale, seppe incantare il mondo».

E oggi sa ancora “resistere”?

«Lo sport professionistico, nonostante le difficoltà, va avanti. Certo, lo fa a “porte chiuse”, ma non ci sono alternative. Ciò che mi dà fastidio è la demagogia di alcune parti politiche…».

Ci faccia capire meglio…
«Secondo qualcuno, si do­vrebbe parlare meno di cal­­cio e più di scuola. For­se ci si dimentica che il cal­cio, da solo, consente a ben quattro milioni di italiani, di qualsiasi età, di praticare attività sportiva di base».

Qual è la sua definizione del termine “sport”?
«Lo sport insegna a rispettare gli altri e le regole, a mantenere uno stile di vita sano. È un diritto, non un regalo. Alla luce di ciò, si aiuti questo settore, si in­­centivi la pra­tica dell’attività di base nelle scuole».

Chi salva nel nostro Paese?
«Le eccezioni ci sono. Penso al settore giovanile dell’Atalanta, dove gioca solo chi va bene anche a scuola. Salvo pure le tantissime società sportive dilettantistiche e i loro volontari, che investono tem­po, denaro e passione per consentire ai “loro” ragazzi di fare sport. Speriamo che a dicembre possano riprendere le attività».

A proposito di Atalanta, nell’ambito del premio “Dardanello”, l’atalantino Josip Ilicic ha ricevuto il premio “Gasco” promosso dal Rotary di Mon­dovì…
«Ilicic è sloveno ma, come la squadra di cui fa parte, incarna lo spirito bergamasco del “mola mia”. Oltre ad aver contribuito a far raggiungere all’Atalanta gli storici quarti di finale di Champions League, si è mobilitato in prima persona per fronteggiare l’emergenza. Pur­trop­po, ha anche provato il Covid sulla propria pelle, vivendo un momento psicologico difficile, che ha superato anche grazie all’affetto ricevuto dalla gente di Ber­ga­mo. È il simbolo della re­si­lienza di un territorio. Si è commosso ricevendo il pre­mio: come ha detto lui stesso, “vale più di un pallone d’oro”».

Anche lo sport piemontese ha trasmesso positività…

«Il verbanese Filippo Ganna, campione del mondo di ciclismo a cronometro, ha mostrato di essere un fenomeno; nello sci, la cuneese Marta Bassino ha vinto in Coppa del mondo; nel tennis, il torinese Lorenzo Sonego ha battuto il numero uno Djokovic. E, poi, sempre in ambito tennistico, stanno per arrivare, Covid permettendo, le Atp finals, che si svolgeranno a Torino dal 2021 al 2025».

Cosa attendersi dall’evento?

«Si tratta dell’appuntamento spor­tivo più seguito a livello internazionale insieme alla Ryder cup di golf, alla finale dei Mondiali di calcio e al Super Bowl di football americano. Ci saranno ricadute po­sitive per tutto il Piemonte, come ac­cadde nel 2006 con le Olim­piadi invernali di Torino».

Sarà una vetrina importante an­che per Langhe, Monferrato e Roe­ro. Conosce queste colline?

«Le dico soltanto che mia moglie ha lavorato per dieci anni in Mi­ro­glio… È un territorio che conquista per la sua cucina, la sua cultura, la sua storia e la sua gente, ospitale e legata alle proprie radici. Ha conquistato anche la modella olandese AnneKee Molenaar, fi­dan­zata dell­o juventino De Ligt, che ha recentemente confessato di avere un de­bole per Alba».

Il suo “debole”, invece, è… Tut­to­sport. O sbaglio?
«Sono onorato di dirigerlo, specie per la sua propensione solidale. A marzo, abbiamo lanciato una sottoscrizione per l’ospedale “Amedeo di Savoia” di Torino che, anche grazie al sostegno di Anlaids, ha portato a raccogliere 300 mila euro. Par­te della somma verrà impiegata per attivare dieci borse di studio a favore di altrettanti medici specializzandi impegnati in prima linea nel­l’emer­­genza coronavirus».

La stessa solidarietà mostrata do­­po l’alluvione del 2000…

«Fummo colpiti direttamente, ma riuscimmo a proseguire le pubblicazioni. Quella tenacia ci spinse a promuovere un derby benefico tra Juve e Toro: si disputò il 12 dicembre 2000 al “delle Alpi” e permise di raccogliere 300 milioni delle vec­­chie lire. Una parte del ricavato venne destinata alla Regione Valle d’Aosta, che la impiegò per il recupero del centro sportivo utilizzato dal Toro durante il precampionato, nella frazione di Epinel, presso il comune di Cogne. L’altra parte dell­a somma raccolta alimentò un altro “circolo virtuoso”…».

Come si è poi chiuso questo “circolo virtuoso”?

«Con una significativa donazione all’Arsenale della pace di Ernesto Olivero, il quale, una sera, mi chiamò e mi disse che l’indomani mi avrebbe accompagnato nella capitale a conoscere papa Giovanni Paolo II. E così fu. Il Pontefice benedisse addirittura Tut­tosport… Lo sport può davvero fare cose incredibili!».