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«Mi sentivo morire di fame d’aria»

Noemi De Lillo ha affrontato il Covid incinta, rischiando la vita sua e della nascitura

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Noemi De Lillo è una giovane napoletana (ma braidese d’adozione) che lavora in una pasticceria di Sommariva Perno. Convive da molti anni con Diego Mar­telli (anch’egli legato alla città della Zizzola). Al nono mese di gravidanza, attendono l’arrivo di Eva, a fine mese.

«Mi sono fatta l’idea» ci spiega Noemi «che a livello psicologico il virus ti ammazza. Non ti fa solo del male fisico. Non dormo da diversi giorni, quando chiudo gli occhi ho un senso di apnea. Nessuno di noi è un supereroe immune. Mi hanno scritto tantissime persone che hanno lottato con il Covid. Bisogna fare attenzione. Non mi vedrete in giro per un po’ di tempo, nemmeno per Natale. Non lo auguro al mio peggior nemico. Influen­ze, polmonite, broncopolmonite le ho fatte nella mia vita, ma nessuna di queste cose ha tentato di uccidermi. Il Covid sì. Io stavo benissimo prima, perché essendo in dolce attesa sono ipercontrollata e ho sempre avuto tutti i parametri a posto. La parte più difficile è stata l’aver affrontato questa bruttissima situazione con il pancione. Appena Eva nascerà, le chiederò scusa a priori per averla fatta soffrire. Sono iperprotettiva, ma adesso ho paura. Non voglio vivere nel terrore, però non so come mi comporterò quando verrà alla luce. Spero che lei stia bene e che nasca senza ripercussioni. Questa è l’unica cosa che voglio. Sarò una mamma un po’ più apprensiva di quel che sarei stata normalmente, diciamo».

Noemi, da dove vuole partire?
«Questo virus esiste!».

Pensa sia ancora necessario precisarlo?

«Sì, perché affrontarlo in prima persona permette di averne una consapevolezza diversa. Io l’ho vissuto sulla mia pelle, insieme al mio compagno Diego. Po­si­tivi entrambi da sabato 17 ottobre. Sono sempre stata sana di costituzione, forte e senza patologie passate. Raramente sono uscita in questi mesi, a causa dei problemi che la gravidanza mi sta portando e della minaccia di parto prematuro avuta a settembre. Il 17 ottobre mi sono svegliata con forte tosse, febbre alta e contrazioni. Ho deciso di chiamare il mio ginecologo e informarlo. Non fosse stato per le contrazioni, probabilmente non sarei neanche andata in ospedale e sarebbe stata la mia fine e quella di mia figlia».

Perché ha scoperto qualcosa che nemmeno immaginava…
«Esatto. Ho fatto il tampone e sono risultata positiva. È scattato immediatamente il ricovero in ginecologia Covid. C’ero so­lo io in tutto il reparto. La fase acuta si è sviluppata in una sola notte. Dal nulla. Ho iniziato ad avere convulsioni nel letto, la temperatura è scesa a 33 gradi. Ipo­termia. Non ossigenavo più. Non respiravo. Sentivo freddo, sentivo l’aria che mi lasciava, sentivo i mu­scoli che tremavano e si contraevano e le forze che mi ab­bandonavano. Sen­tivo i dottori che entravano nella camera. Sentivo urlare “salviamo lei o la bambina? La bambina non ha battito, dobbiamo intubarla, dobbiamo farla partorire, l’anestesia non le darebbe possibilità”. Io non respiravo e sentivo dentro di me che era tutto reale. L’o­stetrica mi stringeva la mano, mi urlava “Noemi devi respirare, guardami, devi respirare”. In terapia intensiva tanti medici in­torno a me fanno il possibile per noi. La temperatura ha a­vuto un balzo da 33 gradi a 42. Mi hanno ricoperto di ghiaccio. Sen­tivo aghi, tubi, ossigeno, ma non basta. Non respiravo. Mi hanno infilato il casco Cpap per respirare e mi sentivo morire. Mi mancava l’aria. Ne volevo di più ma non arrivava. Mi scoppiavano le orecchie dentro il casco, così come il cuore e la te­sta. Mi scoppiava tutto. A­vevo paura e sentivo di non farcela».

Per fortuna ce l’ha fatta…

«La bambina è tornata a dare segni di vita. Ho sentito il suo cuore battere e la dottoressa ringraziare Dio. Sono passate esattamente 4 ore dall’inizio di tutto. Ero nuda su un lettino con 12 flebo, un casco, attaccata all’ossigeno, male ovunque, tubi ovunque, fili ovunque. L’anestesista mi ha accarezzato e mi ha detto “bentornata”. L’o­stetrica, Jessica, non mi ha mollato la mano per 4 ore. 8 giorni di inferno. Non si sa se ci saranno ripercussioni sulla bambina, ci sono tanti dubbi su questa malattia, su questo virus, sulle donne in gravidanza con il Covid».

Qual è il messaggio che si sente di lasciare ai lettori?
«Mi ricorderò per sempre la dottoressa e il suo “bentornata”. Gli occhi di chi mi guardava nei giorni dopo e mi diceva: “sai non ricordi, io c’ero l’altra sera, è un miracolo vederti così oggi”. Questo 2020 finirà, questa pandemia finirà, questo terrore finirà. Ma non siamo invincibili. Non siamo immuni. Non siamo giovani. Non siamo “non ce ne Coviddi, è un complotto”, altrimenti siamo delle capre! È l’unica volta nella mia vi­ta in cui spero di sentirmi dire “Per fortuna, siete negativi!”».

BaNNER
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