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Quel sì all’integrazione

Sessant’anni fa il primo matrimonio interrazziale, un grande passo per i diritti civili. Sammy e May subirono umiliazioni e minacce, ma difesero il loro amore e tracciarono una strada. Addolora vedere che ancora oggi, ogni tanto, le coppie miste suscitano meraviglia e pregiudizio

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Sopravvivono all’era digitale, tramandando lacrime di gioia e sorrisi. Resistono, gli album di matrimonio, con le loro immagini separate da veli di carta e le emozioni che sfidano il tempo. Nostalgia, scivolando gli anni, o anche rimpianto se l’antica promessa è in frantumi. Scatti intimi, quadretti privati, che nel caso di Sammy e May diventano universali: non raccontano solo il momento importante d’una famiglia, ma quello di una società, eterno nonostante sia sopravvenuto il divorzio e lui sia in cielo da un pezzo. Un po’ come il passo sulla luna, che Tito Stagno definì piccolo per l’uomo ma grande per l’umanità: quei due giovani non coronarono soltanto il loro amore, ma insegnarono l’amore al mondo: sfidarono convenzioni, superarono barriere, si ribellarono a leggi e pregiudizi, divennero modello per milioni di innamorati che, dopo di loro, scelsero di fondere la vita dimenticando la pelle diversa, spingendo l’America, e poi l’Europa, il globo intero, a fare un grande passo non per conquistare un satellite, ma per combattere il razzismo.
C’è ancora tanto da fare, purtroppo, ma quel “sì” pronunciato a Hollywood resta una pietra miliare nell’integrazione e nella tolleranza. Per questo, sessant’anni dopo, è bello sfogliare quell’album: May, che oggi ha 87 anni, dolcissima con il caschetto biondo, fasciata di bianco e di luce, lui elegantissimo in nero, un fiore all’occhiello e lo sguardo innamorato. Era il 13 novembre del ’60 e in 31 stati americani le unioni interrazziali erano vietate, in 15 perseguite con la massima pena, ma quei due ragazzi si amavano e contava quello. Lui, nero, “showman” e cantante famoso, il successo riscatto di un’infanzia dura e alleato nella lotta per i diritti civili, lei bianca, svedese, attrice di successo: trovarono il coraggio di sposarsi, la forza di non nascondersi, di afferrare un sogno che ad altri ragazzi i giudici avevano negato. Fu il primo matrimonio interrazziale della storia, comunque ritenuto scandaloso, fonte di sacrifici, mortificazioni, perfino minacce. Pensate che solo sette anni dopo, con il film “Indovina chi viene a cena”, il tema delle coppie miste e dei problemi annessi divenne de­nuncia, e solo dopo sette anni la Corte Suprema rese la legge valida in tutti gli Stati.
Sammy e May difesero la libertà d’amare, sfidarono rigidità mentali, norme ingiuste e idee cattive, subirono la mortificazione di inviti istituzionali separati, perché una bianca e un nero, benché sposati, a certi tavoli ufficiali non potevano sedere, e aggressioni verbali e sguardi truci, quando gli insulti divennero minacce dovettero prendere una scorta. Non mollarono, ma non fu facile. E chissà se anche per questo finì tutto: rimase una bella amicizia fra loro e un insegnamento più forte di quanto immaginassero, una spallata alla ristrettezza mentale e una sensibilità nuova, un’attenzione diversa, un rispetto maggiore seppur faticoso e lacunoso. Fa bene sfogliare l’album e immaginare la forza di un amore osteggiato per il colore pelle, umiliato nella quotidianità ma rigoglioso, radice di altri amori senza pregiudizi, propulsivo per i diritti civili anche perché appartenente a due star, facilitate nell’essere accettate benché non risparmiate nella sofferenza. E fa male pensare che nonostante i sessant’anni passati, ancora oggi, in troppi angoli di mondo, una coppia mista debba sentire sguardi di troppo addosso. A volte ancora truci, più spesso meravigliati, comunque tristi, gravi, inopportuni.