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Il mondo del “tuber” mira al riconoscimento dell’unesco come patrimonio immateriale

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Anche in un anno tormentato come il 2020, caratterizzato da una delle emergenze sanitarie più gravi di sempre, il tartufo continua a creare suggestioni. Sarà che per trovarlo occorre immergersi nella natura più incontaminata oppure per l’incanto che ogni volta sa regalare: fatto sta che il desiderio di vivere esperienze legate al “tuber magnatum Pico” è più forte che mai. Per questo, oltre alle iniziative digitali della Fiera del tartufo promosse dal “Truffle hub” allestito presso la pertinenza del castello di Roddi, si pensa già al dicembre 2021, mese che potrebbe risultare storico per il mondo del tartufo. Tra un anno, infatti, l’Unesco deciderà se ammettere la “cerca” e la “cavatura” del tartufo in Italia nella lista dei beni immateriali riconosciuti come patrimonio dell’umanità. Questo sarà l’ultimo passaggio di un percorso che ha vissuto una tappa molto importante lo scorso marzo, quando cioè la Com­mis­sione nazionale italiana per l’Unesco ha dato il proprio benestare alla candidatura avanzata dalla Federazione nazionale delle associazioni tartufai e dall’Associazione nazionale Città del tartufo. Alla luce di ciò, il dossier di candidatura “Cerca e cavatura del tartufo in Italia: conoscenze e pratiche tradizionali”, nato dall’idea dell’allora presidente del Centro nazionale studi tartufo di Alba Giacomo Oddero, è stato trasmesso al Segretariato Unesco di Parigi per l’analisi e la valutazione finale, prevista appunto a dicembre 2021. L’Unesco tutela come patrimoni immateriali 508 beni di tutto il mondo. Nove sono italiani e tra questi spiccano la dieta mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria e l’arte dei pizzaioli napoletani, oltre all’arte dei muretti a secco (patrimonio condiviso con altre nazioni). Fondamentale è stato lo studio di ricerca antropologica condotto dai docenti universitari Piercarlo Grimaldi e Gianfranco Molteni, che completa e arricchisce quello che, senza dubbio, è il più ampio lavoro di catalogazione finora mai realizzato in questo ambito. Un’at­tività che, al di là della candidatura al riconoscimento Unesco, ha permesso di documentare una tradizione secolare, praticata e tramandata dai “tartufai” su gran parte del territorio nazionale. Commenta l’albese Antonio Degiacomi (nella foto sopra), presidente del Centro nazionale studi tartufo, ente che ha collaborato attivamente nelle singole fasi della candidatura: «Ora che il dossier è stato trasmesso al Segretariato di Parigi occorre divulgarlo e farlo conoscere adeguatamente. Il Centro studi, dal canto suo, sta supportando l’Ente Fiera nella realizzazione dei laboratori esperienziali online e presto pubblicherà il nuovo Codice di analisi sensoriale del tartufo».