È un’etichetta beffarda quella di “bogia nen”, che da secoli definisce i piemontesi come persone “poco reattive” al limite del “pigro”. Questo termine, nato per celebrare l’eroismo e la capacità di “saper resistere” (si riferisce, infatti, alla resistenza di 4 mila soldati sabaudi contro l’esercito francese, dieci volte più numeroso, durante la battaglia dell’Assietta del 1747), spesso, invece, assume un’accezione negativa, descrivendo la nostra regione come eccessivamente immobile e incapace di favorire il cambiamento. Eppure, in molte circostanze, il Piemonte e, in particolare, la provincia di Cuneo hanno dimostrato di saper anticipare i tempi, tracciando strade poi percorse a decenni di distanza dal resto d’Italia. Un caso emblematico, in questo senso, è legato alla storia del calcio femminile cuneese, capace di porre delle basi sul territorio molto prima che il fenomeno del “pallone in rosa” prendesse piede su scala nazionale.
A raccontare alla Rivista IDEA le origini, attraverso un minuzioso resoconto di quei primi anni, sono state Franca Giordano e Marisa Minolfi, due delle protagoniste di allora, che hanno redatto il volume “Alta Italia football club femminile. La prima squadra di calcio femminile a Cuneo. 1969-1978”, edito da Araba Fenice e pubblicato di recente.
«La storia di quel gruppo di ragazze è il racconto di una passione nata fin dalla tenera età e trasformatasi in qualcosa che all’epoca ci sembrava solo un sogno: giocare in una squadra vera, confrontandosi con il meglio del calcio femminile del momento e di fronte a tifosi entusiasti», spiega Franca Giordano, ex reggente del Provveditorato agli studi di Cuneo e Verbania e oggi assessore ai servizi scolastici e alla terza età del Comune di Cuneo.
«Io ho sempre tifato Juventus e da piccola mi brillavano gli occhi quando potevo vedere da vicino Sivori, Nené e Stacchini, gli eroi bianconeri dei primi anni Sessanta, che erano soliti svolgere alcuni allenamenti estivi proprio a Cuneo. Lì è nato il mio amore per il calcio, coltivato poi in cortile insieme a mio fratello, che volevo sempre battere», ricorda con un pizzico di commozione Marisa Minolfi, insegnante di scuola dell’infanzia, mostrando orgogliosa alcuni scatti che la ritraggono ancora bambina al fianco del grande Omar Sívori.
Ragazze con una passione comune, ritrovatesi insieme in una squadra e diventate grandi amiche: «Io arrivai in gruppo a quindici anni, convinta a provare da un impiegato dell’Ufficio del registro, incontrato mentre lavoravo nello studio di un avvocato», spiega Franca, «Giocai le mie prime partite nel 1970 e da lì costruii amicizie profonde. Lo spogliatoio era unitissimo, si cantava e si rideva in tutte le trasferte, ma in campo si dava sempre il 100% per vincere. Io come stopper e Marisa come libero, eravamo degli “ossi duri” in difesa».
C’era il campo, ma c’era soprattutto un’Italia che, nonostante i primi effetti del ’68, ancora doveva confrontarsi con un tema ancora oggi d’attualità: quello dell’emancipazione femminile. Nel 1968 era stato abrogato il reato d’adulterio, ma molti passi dovevano ancora essere compiuti, dall’introduzione del divorzio (1970) alla riforma del diritto di famiglia (1975), in un paese fino a quel momento a forte impronta maschilista e patriarcale. «Qualche battuta non mancò. Ci dicevano che i nostri muscoli sarebbero diventati “marcati” e che saremmo sembrate dei maschi. Tutte storie, molte di noi avevano la fila di pretendenti», sottolinea con un sorriso Franca, che poi, però, precisa: «Nel libro si fanno i nomi di 138 ragazze che vestirono la maglia dell’Alta Italia in quei dieci anni. Alcune di loro mi hanno svelato che smisero di giocare proprio perché, purtroppo, dopo alcune partite le rispettive famiglie glielo vietarono».
In questo scenario, giocarono un ruolo chiave Mario Conterno, che ebbe l’intuizione della squadra, il dirigente Mario Sanino, Nino Callipo, storico primo allenatore e vera anima di quel gruppo, oltre ai collaboratori succedutisi negli anni. Franca li definisce «grandi precursori, capaci di immaginare un qualcosa che al tempo era davvero difficile anche solo da sognare. Lo fecero, oltretutto, con un rispetto e una professionalità unici. Da quell’esperienza nacque anche l’amore tra una mia compagna e un nostro dirigente. Lui, con grande serietà, rassegnò le dimissioni non appena capì che quella relazione poteva intaccare il loro rapporto sportivo e la sposò. Dal loro amore è nata una ragazza che solo qualche giorno fa mi ha ringraziato per questo libro, perché senza quella squadra probabilmente lei non ci sarebbe». La storia dell’Alta Italia, quindi, è anche la descrizione di un mondo che guardava oltre, nel pieno del boom economico. «Giocavamo spensierate, senza pensare a quello che stavamo portando avanti, ma forse sì, eravamo protagoniste inconsapevoli di un’evoluzione culturale senza precedenti».
«Abbiamo alimentato una vera rivoluzione»
Le cuneesi Franca Giordano e Marisa Minolfi raccontano la loro esperienza da “pioniere” del calcio femminile in Italia