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«Contro i femminicidi serve una squadra di professionisti»

Il generale Garofano: «Fenomeno più resistente del Covid» «Crimini in diminuzione, ma la violenza sulle donne continua: non basta reprimere, ci vuole prevenzione, con le giuste competenze. Il vaccino? Risolutivo, se saremo responsabili»

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In tv affronta i casi del mo­mento assieme allo staff di “Quarto Grado” su Rete 4. Ma prima di tutto Luciano Garofano è stato il biologo-generale dell’Arma dei Carabinieri che, al comando dei Ris, ha svolto le indagini sulle scene dei delitti più famosi, dalla strage di Erba agli omicidi del serial killer Bilancia, passando da Novi Li­gu­re, Cogne e Garlasco. Un’e­spe­rienza forte che gli permette di valutare la realtà da una lente d’ingrandimento speciale.

Generale Garofano, il tema della violenza sulle donne resta purtroppo d’attualità. Sono sempre stati casi frequenti nelle sue ricerche?

«Purtroppo, sì. A partire dall’epidemia Covid fino a questo momento le vittime accertate sono state già più di novanta e, a quanto pare, sono in aumento. E pensare che il “lockdown”, con la vicinanza tra vittima e carnefice, avrebbe dovuto teoricamente rendere più difficile l’azione dei violenti, visto che sarebbero stati più facilmente identificabili. E invece chi commette questa tipologia di reato non si preoccupa neppure di essere scoperto. Del resto, al tempo stesso, abbiamo registrato anche una contrazione delle denunce».

Tutto questo mentre, in generale, i numeri degli omicidi commessi negli ultimi anni sono in calo. Co­me lo spiega?
«Questo è il fulcro della questione: gli episodi di violenza sulle donne si ripetono nonostante una strategia di contrasto dei crimini che, per quanto riguarda gli altri omicidi, ha avuto successo. Fino a qualche anno fa eravamo a più di mille omicidi all’anno, oggi siamo scesi a meno di quattrocento. Ma, in questo ambito, i nu­meri dei femminicidi restano costanti».

Alla base c’è una grave questione culturale?
«C’è da affrontare sicuramente un problema di edu­cazione. Non basta fa­re in modo che ci siano più denunce, non basta aver velocizzato la repressione se non si punta su un’attività preventiva nei confronti dei ragazzi e degli uomini che, purtroppo, invece di avere rispetto per le “loro” donne, continuano a considerarle un obiettivo della loro violenza».

Come si risolve il problema?

«Con le giuste competenze, co­me del resto è accaduto su altri versanti. Servono professionisti che siano specializzati nei casi di violenza di genere. Non può esserci un’azione discontinua, dobbiamo affidarci a investigatori preparati e magistrati che sappiano velocizzare le risposte della giustizia. Quella del “co­dice rosso”, la legge pen­sata per i casi di violenza sulle donne, è una buona novella ma rischia di rimanere confinata in uno spazio teorico se poi manca il personale per riuscire a metterla in pratica; alla fine diventa un danno. Ser­virebbe un’organizzazione competente con un incarico semi-esclusivo».

E se in questo senso ci fosse un maggior coinvolgimento delle stes­se donne? Se l’incarico fos­se affidato a un giudice donna oppure a un investigatore don­na?
«Sarebbe un vantaggio perché po­tremmo mettere in campo qualcosa in più sul piano della sensibilità, ma anche per quanto riguarda l’empatia. Insomma, le strade per arrivare a una soluzione ci sarebbero».

Torniamo agli altri crimini: il Covid è stato un deterrente?
«Indubbiamente sì, se non altro perché nelle città quasi vuote, in certi momenti, circolavano solo le Forze dell’ordine. Questo la dice lunga sull’importanza di schierare un numero di agenti adeguato alle esigenze del territorio. Più i numeri sono alti, più è efficace l’opera di prevenzione. Però qui entriamo in un altro discorso, nelle difficoltà economiche in cui da tempo si dibatte il nostro Paese con tutte le ricadute che abbiamo visto».

Crede che il caso Covid sia stato gestito bene dal Governo?
«Diciamo che la prima ondata, caratterizzata purtroppo da molte vittime, aveva offerto spunti di riflessione che probabilmente dovevano essere sfruttati meglio per migliorare la situazione e risolvere alcune tematiche urgenti. Invece, presi dalla routine, abbiamo perso l’attimo. Avevamo pensato che il virus sarebbe tramontato con l’estate e ce ne siamo quasi dimenticati. Ora, però, siamo ancora alle prese con gli stessi problemi».

Come consulente, ha continuato a seguire alcuni episodi di cronaca nell’ultimo periodo: quale è stato il caso più coinvolgente?

«Ce ne sono stati almeno due. Uno è quello di Mario Biondo, il cameraman trovato morto a Madrid che rischiava di essere archiviato come suicidio. Essere riusciti a ottenere una proroga delle indagini è stato un successo. Stesso discorso per la morte della guardia giurata Sissy Tro­vato Mazza… C’è ancora speranza, speriamo nei prossimi sviluppi, ci sono molti aspetti da valutare».

Lei è anche biologo: se prima si occupava del Dna rivelatore sulle scene dei delitti, oggi si parla tanto di Rna per i vaccini. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Non credo in un miracolo, anche se ultimamente sono ve­nuti fuori diversi nuovi vaccini e tutti teoricamente molto efficaci. In ogni caso, è una soluzione irrinunciabile per limitare l’infezione e impedire la propagazione del virus. Stando a quanto leggiamo, con i vaccini e le cure di anticorpi che arriveranno il futuro è di nuovo roseo. Però, in que­sta fase, abbiamo bisogno di un grande senso di responsabilità, dobbiamo continuare a proteggerci, traghettando tutti in­sieme verso il vaccino o verso una cura, restando rispettosi delle regole. Il precedente “lockdown” aveva dimostrato l’efficacia delle misure, con l’evidenza dei numeri. Il problema è che noi italiani, ogni allentamento delle restrizioni lo viviamo con un senso estremo di liberazione. E passiamo da un eccesso all’altro. Questo però è un comportamento pericoloso, se non criminale: mi fa ritenere che come popolo dobbiamo ancora crescere».