Dopo più di dieci anni, la Caritas di Saluzzo ha un nuovo direttore. Carlo Rubiolo, nominato poche settimane fa alla guida del sodalizio caritatevole, si è raccontato alla Rivista IDEA. Nel ringraziare il direttore uscente, don Beppe Dalmasso, ha affermato che il suo impegno sarà finalizzato a conservare e, se possibile, a valorizzare il patrimonio ricevuto in eredità dalla precedente gestione; un patrimonio fatto di «umanità prorompente, generosità e inesauribile entusiasmo». Parole sentite, e non di circostanza, visto che Rubiolo, una laurea in filosofia e una vita passata a insegnare nelle scuole medie di Saluzzo, da quando è andato in pensione impiega il suo tempo per aiutare i meno fortunati.
Rubiolo, che cosa l’ha spinta a incrementare ulteriormente il suo impegno nel sociale?
«A un certo punto della mia esistenza, ho compreso che vale la pena vivere solo facendosi guidare dal principio della responsabilità. Significa che niente di ciò che accade nel mondo ti può essere più estraneo e, in particolare, non puoi più rimanere indifferente di fronte alla sofferenza dei poveri. Da qui la decisione di mettermi al servizio della loro causa, utilizzando il tempo libero che ho a disposizione».
Come sta oggi la Caritas di Saluzzo?
«Da don Beppe ereditiamo una realtà viva, che nel complesso conta circa 150 operatori, impegnati nei numerosi servizi attivi presso le varie realtà diocesane: centri di ascolto, distribuzione di alimenti e indumenti usati, progetti di microcredito, corsi di alfabetizzazione, strutture di accoglienza. La gestione precedente, in particolare, ha assicurato un contributo determinante nella realizzazione dell’“Emporio della solidarietà” e ha organizzato il sistema di accoglienza dei migranti stagionali».
Proprio la questione dei “lavoratori della frutta” rimane una delle più dibattute nel Saluzzese. Come si impegna la Caritas su questo fronte? E, secondo lei, quale strada dovrebbero perseguire le istituzioni per risolvere una situazione che si ripropone annualmente?
«La Caritas è stata la prima ad attivarsi sul fronte dell’accoglienza dei braccianti stagionali e ha continuato a farlo con le risorse che, di anno in anno, ha avuto a disposizione. Al nostro interno si è costituito il gruppo “Saluzzo Migrante”, composto da giovani operatori che forniscono assistenza amministrativa e legale, oltre a un piccolo supporto materiale. Per molti mesi all’anno è attivo un ambulatorio medico specificamente dedicato ai migranti. Da qualche anno è stato allestito un dormitorio, “Casa Madre Teresa”, dove vengono accolti i soggetti che si trovano in situazioni di particolare vulnerabilità. Gli interventi della Caritas non riescono certo a far fronte ai bisogni delle centinaia e centinaia di braccianti che ogni anno, in tarda primavera, raggiungono Saluzzo. Si è ancora lontani dalla soluzione del problema: per questo occorrerebbe prendere atto che non si tratta di una situazione da affrontare annualmente con gli strumenti dell’emergenza, ma che occorre una pianificazione organica, supportata da adeguate risorse pubbliche».
In che misura ha inciso il Covid?
«Anche a Saluzzo la pandemia ha infierito sia a livello sanitario sia sul fronte economico. La chiusura di tante attività ha creato disoccupazione tra i lavoratori regolari e nel “sottobosco” del lavoro nero. Chi già stentava a pagare affitto e bollette è precipitato nell’indigenza assoluta, mentre chi prima riusciva, sia pure a stento, a stare a galla ora è costretto per la prima volta a chiedere aiuto alla Caritas. Alla porta del nostro “Emporio” la fila si è allungata con persone che fino a qualche tempo fa non conoscevamo».
Crede che la città e il suo tessuto sociale abbiano gli “anticorpi” giusti per superare la crisi?
«Rispetto ad altre realtà che ho avuto modo di conoscere attraverso il confronto diretto con diverse Caritas, il tessuto sociale di Saluzzo mi sembra più solido e coeso. E questo si riflette anche sull’efficienza del volontariato locale. Da parte nostra, nonostante il momento difficile, continuiamo a lavorare per far crescere tra la gente il senso di solidarietà e condivisione, che si esprime non soltanto con il sostegno economico alle nostre iniziative ma anche attraverso l’impegno personale di ciascuno».
Articolo a cura di Francesco Burzio