Canale e Montà: tra le Rocche, emergono le mura del borgo medioevale del Tuerdo

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Una notizia che ha un qualcosa di retrò, quasi di “non-notizia”: ma che significa molto, in un periodo proiettato sempre più verso le cose immateriali, in direzione delle sensazioni usa-e-getta della rete, delle storie da un minuto.

E una precisazione, doverosa: che i resti del castello del Tuerdo ci fossero, proprio lì, tra le creste, i boschi e le Rocche di Montà, era cosa nota da tempo. Se ne trova traccia di memoria recente a partire dalla seconda metà degli Anni ’90: quando l’associazione Canale Ecologia aveva affondato i primi colpi rivolti alla costituzione dell’Oasi naturalistica di San Nicolao, grazie alla spinta dell’allora fondazione ambientale Euronature diretta dal sempre amico Claus Petter Hutter. Per tendere una mano, un braccio “verde” tra i due paesi, Canale e Montà: “babi e auslass”, rospi e uccellacci, secondo i remoti campanilismi di un passato profondo, rivalità e invettive quasi perdute.

Qui è nato ciò che è sempre più simile a un parco volto a tutelare il patrimonio floro-faunistico della zona: attorno a un pilone che si credeva perduto, tutto sul territorio canalese, dedicato a colui che è poi Santa Claus, il Babbo Natale della tradizione nordico-pagana. Un posto che un tempo era una chiesa, con tanto di diritto di sepoltura: e che -va da sé- cercava il suo borgo, un suo paese cui appartenere. C’era: e c’è. Il Tuerdo, appunto: come per dire che l’Oasi non è solo un parco a valenza ambientale, ma anche un posto con valenze storico-culturali di sicuro lignaggio.

Il primo a ricostruire le sue forme, l’assetto di questo “paese scomparso”, era stato Gino Scarsi: ora leader della stessa Canale Ecologia, autore di un plastico custodito nella sua casa di borgo Mombirone, ma che meriterebbe prima o poi una pubblica visione. E’ stato proprio lui, adesso, a dare notizia dei primi veri reperimenti delle mura di questo borgo di sommità: e dopo anni di frammenti e mattoni, sulle rocche “alte”, questo maniero lascia intravedere meglio le proprie vestigia.

Ma cos’era, esattamente, il Tuerdo? Un piccolo paese scomparso, a tutti gli effetti: una storia che meriterebbe libri, e forse romanzi, dai contorni fatti di guerra medioevale, di lotte, di invidie, e anche di morte. Facendola breve, e facendo assegnamento a fonti autorevoli come il “Repertorio Storico” di Baldassarre Molino, se ne trovano le prime tracce documentali a partire dal 1162: dotato di una certa funzione strategica, e retto dalla famiglia dei “domini di Gorzano” caduti in disgrazia agli occhi di Asti che fu costante nemica di un Albese e un Roero costituiti in lega antagonista sotto la forma dell’Astisio.

Per via della loro ribellione, nel 1274 furono aggrediti da 200 uomini delle forze astigiane: e fu una sorta di Alamo roerina, per un Tuerdo che cadde dopo strenua resistenza. Difficile confermare le tesi del Ventura, cronaca dell’epoca, per il quale fu strage di uomini e donne, senza distinzione: altre fonti riescono a stabilire con certezza la sola fine “fisica” di questo posto, in una storia che portò l’area a spopolarsi e a far crescere la nascente comunità canalese, la “villa nova”.

E’ Montà, a livello di confini: è pure Canale, dal punto di vista del corso degli eventi. E’ Roero, di per certo: e -per quanto possibile, date le rigide regole sugli spostamenti di questo periodo- già parecchi hanno fatto visita agli rispolverati reperti.

Si tratta di un punto in più a valere su un certo tipo di attrattiva dell’Oasi, e delle Rocche in generale: per cui pare davvero il caso di citare Jack White con l’espressione “ogni cosa ha la sua storia da raccontare”. E occorrerà andarci cauti nell’approcciarsi a queste mura, per rispettare ciò che è radice per tutti, a suo modo: e su cui -grazie alla consulenza dell’esperto Gianluigi Berta- presto svetterà anche quello che era il gonfalone della famiglia dei Gorzano.

Paolo Destefanis