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«I nostri libri, storie di calcio nate nel parco»

Mario Parodi e il sodalizio letterario con Antonio Barillà: «Stili diversi che si uniscono»

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I lettori di IDEA lo apprezzano per il suo “Fic­canaso”, la più longeva tra le rubriche della nostra rivista. È lo spazio in cui, da oltre 15 anni, viene affidato alla sensibilità dell’autore il compito di raccontare pez­zi di vita che spesso la cronaca ma­stica e sputa troppo in fretta per darci modo di coglierne appieno il significato. Gli appassionati di sport, invece, apprezzano An­tonio Barillà come cronista di vaglia su diversi quotidiani nazionali, alle prese in particolar modo con il mondo del pallone e con conoscenza specifica dell’universo bianconero.
La scrittura più ariosa che lo contraddistingue quando cura la sua rubrica e quella più asciutta, analitica, tipica di quando veste i panni del cronista sportivo trovano una sintesi nei libri che ha scritto, in cui si parla di calcio, ma con il respiro del racconto.
Un connubio che funziona, vi­sto che il giornalista professionista residente a To­rino può vantare una bibliografia con già sei libri all’attivo, quattro dei quali scritti con Mario Parodi. Proprio a lui, insegnante in pensione e appassionato di storia, affidiamo il compito di raccontarci il sodalizio letterario che ha realizzato da poco un nuovo libro, “Archi­tet­ture nerazzurre”, che mette in fila tutti e settantatré gli allenatori dei centododici anni di storia interista.
«Ci siamo conosciuti per caso, perché abbiamo pubblicato un libro con­temporaneamente per lo stesso editore, spiega Mario Parodi, autore di ben 20 libri. «Io,“Rotative del mio cuore. Viaggio sentimentale nel giornalismo sportivo torinese” e lui “Lucidissimo l’opposto cuoio delle scarpe e della testa. Piccole storie all’alba del calcio”, un libro divertentissimo che cita gli aneddoti più curiosi dei primi anni del calcio, come quando De Vecchi esordì in Nazionale che era ancora un ragazzino e andò a Budapest con i pantaloni corti».
Un sodalizio ben rodato anche perché si basa su una suddivisione chiara dei compiti. «Io solitamente tratto giocatori, allenatori o episodi del passato, lui scrive dei contemporanei» chiosa il torinese. «Alle presentazioni riassumiamo così: io parlo con i morti, lui con i vivi. La divisione ricalca le nostre esperienze: lui è un giornalista in attività, uno che respira ogni giorno il calcio di oggi; io non ho mai fatto il giornalista, ma ho insegnato per decenni, ho la passione della scrittura e della storia, dunque amo collegare il calcio ad avvenimenti storici, al contesto in cui hanno vissuto i personaggi che racconto».
È difficile coniugare esperienze diverse, che conducono a scritture diverse?
«In effetti abbiamo stili diversi, non sovrapponibili. Il nostro è un bellissimo “derby”. E credo che sia uno degli aspetti più apprezzati dai nostri lettori. Della scrittura di Antonio mi piace innanzitutto la sua capacità di sintesi, ma trovo che il suo stile si sia molto ibridato da quando pubblichiamo insieme. Il merito è di mia nonna: quando ero piccolo guardavo solo il calcio e lei mi diceva: “Se ti piace il calcio, allora leggi di calcio”, mi comprava “Tutto­sport” e mi obbligava a leggerlo. Così mi sono imbattuto in articoli di grandissimi giornalisti e, senza accorgermene, ho imparato a scrivere da loro. Credo che questo spunto datomi da mia nonna sia arrivato anche da me ad Antonio».
È vero che i vostri libri nascono durante lunghe camminate in­sieme?
«Sì, ci facciamo anche 20 chilometri alla settimana al parco della Pellerina: camminiamo molto velocemente e intanto parliamo. Quindi direi che sono camminate propedeutiche alla scrittura, ma utili anche per altro: a forza di camminare pos­so sfoggiare un peso forma invidiabile! Tra noi è nata davvero una bella amicizia, che va al di là del lavoro e che non è affatto scontata, dato che ci separano quindici anni».
Qual è il libro che preferisce tra quelli scritti insieme?
“I guardiani della Signora”, che ci ha dato grandi soddisfazioni. L’abbiamo presentato a Torino nel Parco del mausoleo della Bela Rosin, già in tempo di Covid, di fronte ad almeno 120 persone, ben distanziate. E poi “Strepitosi”, dedicato ai terzini sinistri italiani, che sono i più forti al mondo. Io ho scritto i profili fino a Facchetti, lui da Cabrini in avanti».
Lei si professa agnostico, come Barillà, o si dichiara apertamente juventino?
«A chi mi chiede per chi parteggio, confesso di essere juventino. Lui, essendo calabrese, può rispondere dicendo che tifa per il Catanzaro…».