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«Le mongolfiere animano il bimbo che è in noi»

Paolo Bonanno, monregalese d’adozione, vola in pallone dal 1980, quando scommise di costruirne uno da solo in due settimane

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“Un artigiano, con tan­­­te i­dee”. Si de­finisce così Paolo Bonanno, classe 1944, tra i padri del volo in mongolfiera in Italia. Una storia avventurosa per un uomo con manualità spiccata e genialità innata, immerso nella personale filosofia secondo la quale a ogni problema esiste una soluzione. A­ma le sfide, l’ultima delle quali lo ha portato in Spagna nei giorni scorsi, per sviluppare un’idea per macchine volanti prodotte dalla catalana Ultra Magic che si librano nella stratosfera.

Il suo primo incontro con il volo non c’entra con le mongolfiere, giusto?
«Dopo la scuola di elettronica fui assunto da Fiat Avio e spedito all’aeroporto di Caselle, dove ho lavorato per la messa a punto dei sistemi di comunicazione degli aerei militari. Quando c’erano dei problemi complicati che nessuno sapeva risolvere, io li risolvevo. Feci una carriera rapidissima. A causa di una mancata promozione che meritavo ma per la quale i sindacati si opposero, me ne andai. Passai all’industria delle confezioni, costruivo macchine speciali per accelerare la produzione. Lì mi trovai a lottare contro alcuni sabotatori che, per paura di perdere il lavoro, facevano passare che le mie macchine non funzionavano. Ero costretto a dimostrare che non avevano problemi, usandole direttamente io. In questo modo, ho acquisito competenze nell’ambito del tessile utili per costruire le mongolfiere».

Come è avvenuto l’incontro coi palloni?
«Era il 1980, scommisi con un amico che in 15 giorni avrei co­struito una mongolfiera e l’avrei fat­ta volare. Senza a­vere idea di come fosse una mongolfiera, al ri­guardo non c’era letteratura tecnica o scientifica: mi af­fidai ai libri di fisica, chiesi a un cliente tes­suti per giacche da sci per realizzare il pal­­lone, co­struii una ce­­sta in alluminio. Ap­por­tai an­che del­le mo­difi­che: un supporto per il bruciatore e un ventilatore per il gonfiaggio del pallone. Co­struii tre bruciatori: fu con il terzo, a cui potevo regolare la fiamma, che mi alzai in volo, vin­cendo la scommessa in 12 giorni».

Iniziò subito ad alte quote?
«Con gli amici facevamo dei “voli vincolati”, con il pallone legato a una corda. Finché… la tagliai. Salii di 5-600 metri, ero tra Saluzzo e Revello. La Polizia se la prese di brutto perché in strada si bloccò tutto, erano tutti col naso all’insù a osservarmi. Non avevo mai volato prima: mi fermai un attimo ad osservare il panorama, era magnifico. Smisi di scaldare per pochi secondi, e il pallone precipitò dritto in mezzo a una mandria di mucche. Costruii un bruciatore più potente, e continuai a volare».

Però, all’epoca eravate “fuorilegge” dell’aria.
Volavo senza permessi. Qual­cosina a Levaldigi stava iniziando, ma il loro pallone era immatricolato in Inghilterra: non esisteva legislazione italiana in merito, e così per il brevetto di pilota. Dopo due anni costituirono una Commissione esaminatrice, che pochi giorni prima dell’esame venne da me e dagli altri piloti che si erano formati con la licenza inglese. Gli spiegammo tutto, ci sottoposero all’esame e… lo passammo».

Quando la sua passione si trasformò in professione?

«Un inverno, nell’83, un ispettore inglese vessato da problemi a bordo notò che io invece non ne avevo: il segreto, scoperto grazie all’esperienza ac­cu­mu­lata, erano le mie valvole a due livelli di sicurezza. Pro­posi una modifica con le mie valvole, gli risolsi il problema. E iniziai così a lavorare per la Cameron Balloons. Sono stato il primo in assoluto a realizzare una valvola in blocco unico con tutte le funzioni per le mongolfiere. Oggi ci sono 15 o 20 mila palloni attrezzati con roba mia».

Nei suoi voli c’è mai stato un momento in cui ha avuto così paura da dire basta?
«Mai. Certo, ho avuto un brutto incidente. Eravamo nei pressi di Montélimar, più di vent’anni fa, quindi con meno tecnologia a disposizione di ora. Ci diedero indicazioni sbagliate. Ci siamo ritrovati in nube senza vedere a più di cinque metri, con la posizione che non collimava con l’indicazione Gps. Sono atterrato a 100 chilometri orari, frenato da un cavo che però… era a 15 mila volt. Ho spaccato cinque piloni dell’alta tensione, sono stato eiettato negli ultimi 30 metri. Il copilota credeva fossi morto, ma me la sono cavata con poco. Ho ripreso subito a volare, ma da allora quando devo alzarmi pri­ma guardo il tempo: se mi pia­ce, vado. Se non mi piace, no».

Oggi la sua casa è Mondovì, di­venuta patria delle mongolfiere. Perché piacciono così tanto?

«Perché animano il bambino che c’è in noi, sono fatte di ma­gia, di colori. A Mondovì ve­ni­vamo a volare per vedere qual­cosa di bello. Mi ci sono stabilito 19 anni fa, mi piace mol­to. Oggi qui la gente mi conosce, mi cerca se c’è un problema a un macchinario che pare sen­­za speranza. Con manualità, ra­gio­na­mento, e magari un’in­tuizio­ne ogni problema si può risolvere».

Ma c’è qualcosa che Paolo Bonanno non sa fare?
«Cucinare. Anzi, no: con il microonde, 750 watt in 5 minuti vengono dei piatti che sono una meraviglia…»