Mascherine Tricolori contro il Recovery Plan: “La salute non doveva essere al primo posto?”

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“La salute al primo posto?”. È con questo slogan che le Mascherine Tricolori hanno duramente contestato il Governo, reo di voler relegare la sanità all’ultimo posto tra le voci di finanziamento del Recovery Plan. La protesta ha toccato oltre 100 città italiane, tra cui Torino, con striscioni affissi davanti ai principali ospedali e ha coinvolto decine di medici e personale sanitario al grido di “la sanità al primo posto”. Nel capoluogo piemontese gli striscioni sono comparsi davanti alle Molinette e al San Giovanni Bosco, centri
nevralgici della sanità torinese e della Regione.

“Per mesi abbiamo assistito a martellanti proclami del Governo sulla necessità di rinforzare il sistema ospedaliero, aumentando i posti in terapia intensiva ed investendo nell’organico del personale medico-sanitario, per scongiurare una seconda ondata Covid. Annunci
rimasti vuoti proclami persi tra banchi a rotelle arrivati a scuole già chiuse, casse integrazione ancora da percepire e bonus monopattini”.

“Ora scopriamo che la bozza del Recovery Plan prevede per la sanità solo 9 miliardi dei 193 miliardi messi a disposizione tra sovvenzioni e prestiti alle UE, relegandola incredibilmente all’ultimo posto dietro a voci come “transizione ecologica” e “parità di genere” che sicuramente poco hanno a che fare con l’emergenza economico e sociale attuale.

“Uno schiaffo a tutti coloro che in questi mesi sono stati in prima linea nelle strutture ospedaliere e di assistenza e un’assurda marcia indietro di un esecutivo che da mesi utilizza l’espressione “emergenza sanitaria” per governare a colpi di DCPM privando i cittadini di libertà fondamentali e portando, grazie a scelte scellerate, la nostra economia ogni di giorno di più vicina al baratro”.

“Una mossa, infine, che lascia intendere l’utilizzo del “Mes sanitario”, ovvero l’ennesimo attacco da parte delle istituzioni europee alla sovranità nazionale, le quali in maniera più stringente potranno decidere e influenzare una politica di spesa italiana già fortemente
vincolata agli assurdi trattati europei”.