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Artemisia, pittrice che affascina sempre

La saviglianese Laura Viada ha raccolto in un libro vita e opere dell’artista del ’600

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Galeotta fu una mo­stra, che nemmeno si tenne. «Ad aprile ci sarebbe dovuto essere una personale alla National Gallery di Londra dedicata all’italiana Artemisia Gen­tileschi», spiega Laura Via­da. «Non se n’è fatto nulla per via del Covid, ma la sua figura mi ha incuriosito. Finito il primo “lockdown” sono andata a Ge­nova a visitare una chiesa e la guida ha detto che il tal quadro era di Artemisia; poco dopo nel Lazio mi è capitata la stessa cosa. Così ho pensato di approfondire e il risultato è il libro “Il tratto femminile. Vita e arte di Arte­misia”».

Prima donna ad essere ammessa all’Accademia di disegno di Firenze, Artemisia è stata una figura di spicco nel corso del Seicento e le sue opere sono sta­te apprezzate sia in Italia, sia all’estero. Passando in rassegna la sua popolarità, l’autrice saviglianese ci porta poi a conoscere da vicino la sua vita, illustrando usi, costumi e folklore di un’e­poca tanto lontana dai giorni nostri quanto affascinante e culturalmente ricca.

Laura cosa l’ha colpita nell’arte di Artemisia?

«I suoi quadri, in buona parte autoritratti, sono molto potenti. Si guardava allo specchio e si ritraeva, realizzando così numerose tele dedicate a Maria Mad­da­lena. È conosciuta in Ame­rica, in Messico, in Spagna».

Non ha mai lavorato in Pie­monte, ma deve la notorietà al critico albese Roberto Longhi che l’ha riscoperta dopo due secoli. Perché quell’oblio?

«Principalmente perché era una donna. Addirittura i suoi primi quadri erano firmati dal padre, perché non si poteva accettare che una donna li siglasse. Longhi, andando a grattare sotto il nome di Orazio Gentileschi si accorse che c’era quello della figlia Artemisia».

Dal libro si percepisce che ha stima anche della persona…
«Perché visse in un’epoca dalle marcate sfumature ma­schi­liste in cui era molto difficile per le donne affermarsi ed essere ri­spettate. Il laboratorio del padre era frequentato solo da uomini e da ragazzina Arte­misia subì anche una violenza. Invece di farsi schiacciare da questo terribile episodio, diventò più forte e decise di votarsi completamente all’arte»

Il libro punta l’attenzione su vita e opera di Artemisia, ma anche sul secolo in cui visse. Cosa l’ha colpita del Seicento?
«Il Seicento non è stato un pe­riodo buio, come tanti dicono e nonostante il Barocco possa lasciarlo intendere. È sta­to un secolo fantastico, con grandi menti che lo hanno at­tra­versato. Abbiamo fatto pas­si in avanti nell’astronomia, nelle scienze e nella matematica».

Quello su Artemisia Gentileschi non è stato il suo primo libro…
«È il terzo. Il primo “I piloni votivi in Valle Maira” era interessante perché spiegava come i piloni votivi che si trovano nella valli siano stati realizzati dai Ca­tari e non dalla chiesa cattolica. Da lì ho preso spunto per approfondire il racconto di quella eresia in “Catari tra storia e leggenda”. Ora sto scrivendo un libro incentrato sulla figura di un’altra don­na, I­pazia, una filosofa di Ales­sandria d’Egitto del quinto secolo, la quale ha conosciuto sant’Agostino, sant’Ambrogio, per poi fare una fine terribile, a causa del suo essere pagana».