«Fiero del nostro lavoro in mezzo alla gente»

A un anno dal suo arrivo, si racconta il comandante provinciale dei Carabinieri Pasquale Del Gaudio

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Sono trascorsi poco più di dodici mesi da quando il colonnello Pa­squale Del Gaudio si è insediato a Cuneo come nuovo comandante provinciale dei Ca­rabinieri della Granda. Lo abbiamo intervistato.

Colonnello, partiamo dalla do­manda di rito: è positivo il bilancio del primo anno?

«È assolutamente positivo. La provincia Granda è una miniera di bellezze naturali, con un contesto socio-economico ca­rat­te­riz­zato dalla vivacità ed effervescenza di una popolazione laboriosa, capace di creare eccellenze in ogni ambito. E, poi, si tratta senza dubbio di una realtà particolarmente accogliente».

A livello umano, qual è l’aspetto che l’ha colpita di più?
«La gentilezza, la disponibilità, l’operosità, il grande senso civico e il rispetto delle regole, qualità che mi hanno colpito e che sono proprie della gente della Granda. Ma ancora di più mi ha entusiasmato la stima e l’affetto che i cuneesi manifestano nei confronti dei Carabinieri».

Quali sono stati gli assi portanti del suo operato?
«Ho concentrato la mia attenzione sull’attività di prevenzione, avendo come obiettivo primario il servizio di controllo del territorio, assicurato dalle 75 Stazioni di Carabinieri presenti in provincia di Cuneo, in modo da contrastare i reati predatori, specie i fur­ti in abitazione, particolarmente esecrabili perché le vittime, oltre a patire la violazione dell’intimità del domicilio, subiscono la sottrazione di oggetti che hanno un valore affettivo. Par­ticolare at­tenzione è stata ed è de­dicata tuttora anche al contrasto dei reati di traffico e spaccio di stu­pe­fa­centi, attività gestite in alcuni casi dalla criminalità organizzata».

In che modo è stata assicurata vicinanza alla popolazione?

«È stata ulteriormente rafforzata la prossimità al cittadino, in generale. In questo periodo in cui la pandemia ha limitato anche i nostri spostamenti, è stata rivolta una speciale attenzione alle persone più fragili, come gli anziani, a favore dei quali è stata offerta la possibilità di delegare i Co­mandanti del­le Stazioni Cara­binieri al ritiro del­la loro pensione presso gli uffici postali. Questa iniziativa è tuttora in essere sull’intero territorio nazionale grazie a un accordo stipulato tra l’Arma dei Cara­binieri e Poste Italiane».

L’intervento realizzato durante il mandato “cuneese” di cui va più orgoglioso?

«Ciò che mi rende maggiormente fiero è il servizio quotidiano svolto dai Carabinieri per la gente e tra la gente. I cittadini devono po­ter avvertire concretamente la vi­cinanza e la presenza rassicurante del­l’Ar­ma, a cui ci si può rivolgere, con fiducia, per istanze, informazioni o consigli».

Il risultato operativo del 2020 da incorniciare?

«Sono numerosi. Cito, su tutti, l’arresto di alcune persone fortemente indiziate di aver costituito un locale di ’ndrangheta nel Braidese; tali arresti sono stati eseguiti il 30 giugno dai Cara­bi­nieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Cuneo e dalla Polizia di Stato di Torino».

In che modo i cuneesi possono supportarvi?

«Ciascun cittadino è la prima sentinella sul territorio! È importante segnalare ogni situazione in­solita, così da consentire gli op­portuni approfondimenti che, in alcuni casi, possono costituire l’inizio di importanti attività in­vestigative. Ho già riscontrato una elevatissima attenzione dei cuneesi su queste tematiche; oc­corre comunque che i cittadini continuino a rendersi protagonisti attraverso un’azione attiva in tal sen­so. Tut­to ciò consente ai Cara­binieri di ade­guare e migliorare il controllo del territorio, attività, fonda­menta­le sia per la prevenzione dei reati sia per le investigazioni te­se a scoprire gli autori dei reati stessi».

Si è già confrontato con il nuovo Pre­fetto e il nuovo Questore?

«Prima di tutto, consentitemi di ringraziare il Prefetto Russo e il Questore Ricifari con i quali ho avuto, nell’ultimo anno, una collaborazione continua e proficua, tesa ad affrontare i vari eventi che hanno interessato il territorio provinciale. Con il Pre­fetto Triolo e con il Que­sto­re Parisi si è da subito instaurata una piena sintonia. Entrambi hanno una grande esperienza e una forte professionalità che ha consentito loro di inquadrare rapidamente le diverse “situazioni” del territorio. Le riunioni tecniche dei Co­ordinamenti e i Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pub­blica, in questo senso, con­sen­tono di affrontare, in sinergia, le varie problematiche che interessano la provincia».

La questione più urgente?
«L’attuale situazione pandemica, al momento, catalizza l’attenzione delle forze di Polizia chiamate, oltre ad assolvere i consueti compiti istituzionali, a far rispettare le disposizioni emanante dal Go­verno per il contenimento del contagio da coronavirus».
Prima di Cuneo, aveva guidato il Comando provinciale di Lec­co. Come fu l’impatto con il Nord per lei che è originario di Avel­lino?
«Dopo sei anni di intenso e im­pe­gnativo servizio a Foggia ven­ni trasferito al Pro­vinciale Cara­binieri di Lecco, con il ruo­lo di comandante. Avevo già trascorso due anni al Nord, dal 2000 al 2002, allora, giovane tenente, al comando della Se­zio­ne scorte di Milano; quel­l’esperienza nella città meneghina mi aveva entusiasmato molto. Quell’en­tu­sia­smo non si è mai affievolito, tant’è che l’impatto con la provincia di Lecco è stato molto stimolante. Tuttavia, ho impiegato qualche mese prima di abituarmi a una realtà molto tranquilla, con una elevata qualità della vita offerta dal “ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno”, che staziona nei primi posti delle varie classifiche riguardanti le città più vivibili d’Italia. L’op­posto, cioè, di Foggia, che occupa le ultime posizioni».

A proposito delle prime esperienze, ci parli della “sua” Avel­lino. Ogni tanto torna nei luoghi in cui è cresciuto?

«Sono molto legato e orgoglioso della mia città di origine, benché l’abbia lasciata nel 1992. Ci tor­no in occasione delle festività per fare visita ai familiari. Nelle po­che “toc­cate e fuga”, mi piace rivedere i luoghi dove ho trascorso la mia infanzia e che trovo, di volta in volta, cambiati. Un esercizio per stimolare il ricordo dei tanti bei momenti vissuti. Non ho mai saltato questo appuntamento. Sfor­tu­nata­men­te que­st’anno non sarà possibile…».

Come mai ha deciso di intraprendere questa strada?

«I miei genitori non sono mai stati severi, ma hanno educato me e i miei quattro fratelli, con l’esempio e il rispetto delle re­gole e del prossimo. Questi in­se­gnamenti hanno inciso molto sulla mia educazione e formazione. Impegno e disciplina mi hanno sempre attratto, sin da quando, appena sedicenne, so­no diventato arbitro di calcio. Equilibrio, decisione e determinazione: le qualità indispensabili che deve possedere un arbitro chiamato ad “affrontare” ventidue calciatori. Ho sospeso que­st’esperienza il 7 febbraio del 1992, quando sono partito per assolvere il servizio di leva come Carabiniere ausiliario. Insomma, ho cambiato “giacca” ma non co­lore. Al termine del corso, sono stato assegnato al 10° Batta­glione Cara­binieri Campa­nia, con sede a Na­poli. Il 20 luglio 1992, il giorno dopo l’attentato a Borsellino, centinaia di Cara­binieri da tutta Italia ven­nero inviati a Palermo. Toc­cò anche a me. Fummo impiegati nei servizi di ordine pubblico ai funerali de­gli agenti della scorta di Bor­sel­lino e a quel­li del giudice. Quel­l’espe­rienza ha segnato, in modo particolare, la mia scelta di intraprendere questa strada. Al termine del servizio di leva ho partecipato al concorso per accedere all’Ac­cademia militare di Mo­de­na per diventare ufficiale del­l’Arma dei Carabinieri».

Cosa significa, per lei, l’Arma?
«Contribuire a determinare il fu­turo di una comunità, partecipando attivamente alla soluzione dei problemi. Professione di­namica vol­ta a dare risposte, ad af­frontare sfide sempre diverse, sup­portate da tecnologie e tecniche investigative in costante evoluzione. Possibilità di fare esperienze in varie realtà territoriali, anche estere, accrescendo le proprie competenze. Essere Cara­biniere significa sapere coniugare in sé due figure: il professionista, tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica, chiamato a fare ri­spettare leggi e norme che più degli altri deve conoscere e onorare; e l’uomo, che, consapevole della delicatezza del suo ruolo nella società, deve ispirare il suo agire a sentimenti di fedeltà, solidarietà, abnegazione e operare con equilibrio e buonsenso».

Ha già raggiunto importanti traguardi, ma c’è ancora un sogno che vorrebbe vedere realizzato?

«In realtà, da quel 7 febbraio del 1992, il mio sogno si realizza ogni giorno!».