Il dialetto si rilancia nell’era digitale

La lingua piemontese è al centro di una curiosa iniziativa che interessa da vicino il Museo Egizio

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Parlare il dialetto, ca­pirlo, diffonderne la sua cultura può sembrare talvolta un qual­­cosa riservato ai non più gio­­vani; eppure non è sempre ve­ro che le nuove generazioni ten­dono a snobbare la parlata lo­cale. D’altronde, come leggiamo nell’introduzione alla “Gram­­­­matica della lingua pie­mon­tese”, nell’edizione curata dall’indimenticabile Camillo Bre­­ro, “conòsse nòstra richëssa col­tural a veul dì fesse portator ëd coltura e concore a anrichì ël patrimòni coltural ëd tuti”. Ricordo la sua disponibilità, come linguista e poeta innamorato della bellezza e dell’originalità del patrimonio culturale e morale del Piemonte, nell’incontrare e coinvolgere studenti di ogni età.
A rinvigorire nei giovani l’interesse per il dialetto han­no poi molto contribuito, in questi ul­timi anni, i “social” e i recenti mez­zi di comunicazione online. Dai più divertenti, come ad esempio “Feisbuc en piemuntèis”, ai più seri, sono molti i siti che hanno avuto il pregio di diffondere notizie ed eventi inerenti alla cultura piemontese, mettendo peraltro in comunicazione realtà lontane: pensiamo ai tanti emigrati che conservano tuttora un forte legame con la regione d’origine. Molti giovani, poi, hanno risposto con entusiasmo a uno specifico la­bo­ratorio di piemontese realizzato grazie a un finanziamento privato e organizzato dal Di­partimento di studi umanistici dell’Università di Torino, in col­laborazione con il Centro studi piemontesi.
Proprio il Centro studi pie­mon­­tesi-Ca dë studi piemontèis, istituzione che da oltre mez­zo se­colo si dedica allo studio e alla pro­mozione della cultura e del­la vita piemontese, oggi è impegnato a fianco del Museo Egizio di Torino per un progetto del tut­to singolare: “Dalle Alpi alle Pi­ramidi, piccole storie di piemontesi illustri”. Si tratta di ot­to clip in lingua pie­mon­tese che, in questi mesi di novembre e dicembre, caratterizzati dalle chiusure forzate, stanno rac­con­tando, con cadenza settimanale, la storia del museo e dei suoi legami col territorio at­traverso la presentazione di otto protagonisti audaci e ap­passionati che lo hanno reso celebre ben oltre i confini regionali e nazionali.
Albina Ma­ler­ba, direttrice del Centro, affiancata da Giovanni Tesio, è la voce narrante dei vi­deo, che sono sottotitolati in ita­liano e accompagnati dalle mu­siche del compositore, sempre piemontese, Leone Sini­gaglia. Poche manciate di minuti a disposizione sui canali “so­cial” che, a fine di un “annus hor­ribilis” per tutte le realtà mu­seali, hanno saputo creare un ponte inedito con un pubblico affezionato, facendo registrare migliaia di visualizzazioni. L’ultimo appuntamento, il 22 dicembre, è dedicato a Ber­nardino Drovetti, archeologo e col­lezionista, considerato il “pa­­­dre” dell’Egizio.
Prima di lui, in omaggio alle va­rie province che caratterizzano la nostra regione, sono stati scelti come protagonisti, per Cu­neo, l’archeologo mon­re­ga­lese Giulio Cordero di San Quintino, quel “ratin da lìber” che ebbe il prestigioso compito di redigere l’inventario dei beni acquisiti e trovarne idonea collocazione; Giuseppe Botti, per il Verbano-Cusio-Ossola, papirologo di fama in­ternazionale; Virginio Rosa, per la provincia di Vercelli, appassionato e sfortunato responsabile degli scavi di Gebelein e Assiut, morto a 26 anni per un’oscura malattia contratta sul luogo. L’omaggio alla provincia di Alessandria ha ricordato il conte Carlo Vidua, grande viaggiatore che riuscì a mettere d’accordo Carlo Felice e Drovetti circa l’acquisto della grande collezione che ancor oggi costituisce il nucleo originale del museo. Stefano Molli, chiamato a illustrare la provincia di Novara, fu invece l’architetto che “servì la causa dell’egittologia italiana” anche tramite la progettazione di opere assistenziali, mentre il mecenate Leonetto Ottolenghi, in rappresentanza di Asti, chiamò in causa la sensibilità ottocentesca per la cultura della civiltà faraonica. Biella ci ha infine riportato a Ernesto Schiap­parelli, dal “ghëddo rude e j’euj foin”, professore di egittologia, che condusse importanti campagne di scavi e fu dal 1894 per più di trent’anni direttore del museo.
Il Museo Egizio, il più antico del mondo dedicato interamente alla cultura egizia, prossimo ormai a festeggiare i 200 anni dalla fondazione, avvenuta nel 1824, da tempo opera per fa­vorire il dialogo tra formazioni e saperi differenti con attività di mediazione culturale. In que­sto caso è andato alla riscoperta delle proprie origini scegliendo proprio il piemontese, la lingua della Torino del­l’Ot­tocento, come strumento co­mu­­nicativo nel contesto del viaggio narrativo.
Il progetto vuole anche celebrare i 50 anni dalla costituzione della Regione Piemonte, istituita appunto nel 1970.
E, sempre in collaborazione con il Con­siglio regionale del Pie­­mo­nte, il Centro studi sta in­tanto preparando l’edizione 2020 della tradizionale “Vijà piemontèisa” di Natale. Un ap­puntamento che “fa tradizione”, cadenzato tra parole e mu­sica per dar voce alla poesia che da secoli si esprime in lingua piemontese. Una festa nel­la continuità e nella convinzione che le parole hanno un’anima e una storia antica da narrare e che, se per il 2019 ha avu­to come cornice il Con­ser­va­torio “Giuseppe Verdi” di To­rino, quest’anno dovrà purtroppo fare i conti con le vigenti limitazioni.
Una veglia natalizia che raccoglierà sotto forma di video contributi vecchi e nuovi di artisti di fama internazionale e che speriamo di poter presto ammirare tutti sul blog del Centro.

Articolo a cura di Alda Corneri